Questo medico non s’ha da fare

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(Foto: Mauro Scrobogna/LaPresse)

Se c’è una categoria studentesca che più delle altre sembra risentire dei repentini cambiamenti di direzione delle direttive ministeriali, questa è da identificarsi senza dubbio in quella degli aspiranti medici, che sembrano non trovare pace nemmeno dopo lo scoglio dell’aver portato a termine i primi sei – lunghi – anni di laurea. Lo scorso 28 ottobre, infatti, era il primo giorno degli attesissimi test di specializzazione, che si svolgono a scadenza annuale con lo scopo di indirizzare gli studenti verso il settore desiderato e farvi proseguire gli studi in tal senso. Era stato previsto che i test durassero 4 giorni con le seguenti modalità: il primo giorno quiz a risposta multipla comune a tutti, i giorni seguenti dedicati ciascuno ad una delle tre aree (Medica, Chirurgica e dei Servizi Clinici) in cui le specializzazioni sono divise. Ogni candidato poteva partecipare alla selezione per 2 specializzazioni per area e doveva rispondere a 30 domande comuni all’area e 10 specifiche per il ramo scelto.

Il risultato di questo complesso concorso a livello nazionale – ideato dagli ultimi ministri dell’istruzione Carrozza e Giannini per liberarlo dal rischio di raccomandazioni e altri trucchetti all’italiana – non è stato altro che caos e rabbia: dopo aver svolto il test, infatti, il Cineca (il consorzio universitario deputato alla sua elaborazione) ha pubblicato un comunicato stampa in cui veniva resa nota l’anomalia di aver invertito le 30 domande generali del 29 con quelle del 31 ottobre a causa di “un errore nella fase di codifica delle domande durante la fase di importazione”. I test parevano annullati, dunque, per chi aveva sostenuto le prove in almeno una delle due aree, e posticipati al 7 novembre. Ossia, tradotto in numeri, il 92 per cento dei candidati: 11.242 su 12.168. Questo prima del dietrofront del Miur della mattinata del 4 novembre: il Ministro dell’Istruzione ha annunciato, infatti, che 28 domande su 30 sono valide ai fini della selezione. Riuscirà questo intervento in extremis a fermare i ricorsi degli studenti?

I numeri, anche a medicina, contano. Contano per un ministero che continua impietosamente a tagliare sulle università, riducendo il numero dei posti disponibili per le specializzazioni, senza le quali ci si trova nell’impossibilità di praticare la professione, o si è obbligati a passare il confine e concludere la propria formazione all’estero. Contano per lo stringente sbarramento che si opera in entrata, alle migliaia di candidati che ogni anno si presentano ai test d’ingresso. Non manca la confusione nemmeno a questo proposito, visto il definitivo posticipo della selezione al secondo anno, in una profusione di dichiarazioni e smentite anche nel corso degli ultimi anni, con voti di maturità che prima contano, poi non più, che hanno provocato una serie di ricorsi da parte degli studenti – e ulteriori disagi a livello organizzativo per le singole università.

L’ennesimo triste spettacolo della superficialità riservata a selezioni tanto delicate, che riguardano non solo dei numeri di matricola da smistare tra gli atenei, ma il futuro e la salute – intesa in tutti i sensi – del nostro stesso Paese e le speranze dei nostri giovani più promettenti.

Valeria Ferraretto