Omaggio a Sotloff, giornalista freelance

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fonte immagine: internazionale.it
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La giornata di venerdì 5 settembre è stata dedicata, in Florida, alla commemorazione di Steven Sotloff, il reporter americano freelance, decapitato, in Iraq, dai jihadisti dello Stato Islamico (Isis). Su tutti gli edifici federali e dello Stato sono sventolate le bandiere a mezz’asta in onore dell’ex studente dell’Università della Florida. Il giornalista, sequestrato in Siria nell’agosto del 2013, era già comparso nel terribile video della decapitazione del collega americano James Foley, del 19 agosto scorso. Nel video i terroristi avevano minacciato di uccidere anche Sotloff, se gli USA non avessero accolto le richieste di interrompere i bombardamenti aerei contro l’Isis in Iraq.
Ed ecco che, purtroppo, il 2 settembre si diffonde in rete il secondo drammatico video. La sceneggiatura è la stessa: la vittima è in ginocchio, con una tunica arancione stile Guantanamo; il boia in piedi al suo fianco, vestito di nero con il coltello in mano, è lo stesso aguzzino di Foley. Il video riporta una sfida diretta al presidente Obama: “I’m back, Obama” è la frase con cui esordisce l’assassino. In questa forma di guerra all’Occidente, le vittime appaiono come delle comparse, attori secondari di un “orrore a puntate”, come ha scritto Adriano Sofri su Repubblica.
Sotloff, non viene assassinato perché ha commesso una colpa, viene “giustiziato” perché americano. Non ha importanza la persona, la sua storia, il motivo per cui si trovava in Iraq, quel che conta è la nazionalità. Non importa se Sotloff, come Foley prima di lui, fosse un giornalista freelance, che nulla aveva a che vedere con la politica americana in Iraq, e che certo non poteva esercitare su di essa alcuna influenza. Non ha alcuna rilevanza per il fanatismo, jihadista in questo caso, se era “un reporter, andato in Medio Oriente per raccontare la sofferenza dei musulmani per mano dei tiranni”, se era “un figlio, fratello e nipote leale e altruista, un uomo generoso che ha sempre tentato di aiutare i deboli”, come ha testimoniato la madre il 27 agosto, nel suo appello televisivo ai sequestratori, con la speranza di un rilascio.
Per questo fanatismo, Sotloff, era solo un americano, e tanto è bastato per decidere la sua sorte. Ciò che più sconvolge è come nell’azione di questi terroristi coesistano due realtà contrapposte: da un lato si mostrano capaci di compiere barbarie e atrocità che potevamo immaginare possibili solo in società primitive, dall’altro sanno perfettamente gestire i più moderni strumenti di comunicazione, utilizzando “la rete”, simbolo della società moderne “occidentali” cui si contrappongono, per diffondere la loro brutale e sanguinaria sfida.
Importante, anche in memoria delle vittime, è non cadere, oggi, in banali analisi e considerazioni superficiali, come quelle apparse in alcuni quotidiani del nostro Paese negli ultimi giorni, in cui giornalisti freelance, come Sotloff, sono stati etichettati come avventurieri e “incoscienti che vogliono sfidare il destino” (1) o che vogliono darsi visibilità. La realtà è che sono, invece, tra i pochi disposti a testimoniare e informare su quanto accade a popoli e paesi che entrano ed escono con la stessa rapidità dal mainstream dell’informazione occidentale. Quasi tutti reporter freelance si autofinanziano, partono e lavorano con il perenne dubbio di riuscire a ottenere un compenso, e anche se riescono a vendere il materiale raccolto, il guadagno è il più delle volte minimo. Rischiano la propria vita non certo per giocare con la fortuna, ma perché credono nel valore e nell’importanza della loro professione: testimoniare per capire il mondo, non raccontando la storia vista dall’alto, con l’occhio dei “potenti” che gestiscono le dinamiche politiche globali, ma dando voce e mostrando al mondo la vita e la tragicità dei veri protagonisti, di popolazioni spesso dimenticate.
Dobbiamo essere grati ed ammirare chi, come Sotloff, la francese Camille Lapage (uccisa nella Repubblica Centraficana), l’italiano Andy Rochelli (ucciso in Ucraina) e i tantissimi altri, si sono sacrificati o stanno rischiando la vita per quello in cui credono, per portare alla luce realtà e verità che altrimenti ci sarebbero nascoste.
“Per capire è necessaria la curiosità di Ulisse di viaggiare in solitaria vedendo il mondo per esistere”, con queste parole Samuele Bersani, nel brano “occhiali rotti” rende omaggio a Enzo Baldoni (giornalista italiano freelance rapito dall’esercito islamico dell’Iraq nel 2004) e poeticamente, così, restituisce il senso di queste scelte, dell’impegno e del lavoro di questi uomini, che ci consentono di sapere, e ci chiedono di prendere posizione.
 
Micol Simonato
 
(1) Vittorio Feltri, “Vanno allo sbaraglio e noi paghiamo”, Il Giornale, 27 agosto 2014

2 Commenti

  1. Condivido pienamente l’impostazione dell’articolo su un tema sconvolgente come quello trattato .Ritengo che “Un nuovo modello di vita non nascerà a caso e all’improvviso : nascerà sulle spoglie di tutti i modelli precedenti attraverso uno sforzo di creatività collettiva.”Bellissima la citazione della canzone di S.Bersani ,e ripeto,oggi non possiamo non sentirci mussulmani ebrei o cristiani o qualsiasi altra cosa ,perché questa barbarie non appartiene a nessuna umanità .Tutto il mondo civile dovrebbe lottare con forza e unirsi contro la pazzia di questo terrore,non solo il patto atlantico.

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