Mercoledì 9 luglio, in provincia di Udine, il Corpo Forestale dello Stato ha proceduto alla distruzione di una delle due coltivazioni di mais Mon810 (a Mereto di Tomba) dell’imprenditore agricolo Giorgio Fidenato.
Questo è l’epilogo, per ora, del caso cominciato nel 2010 con la denuncia di alcuni attivisti di Greenpeace della presenza di coltivazioni di mais biotech a Fanna e a Vivaro, nella provincia di Pordenone, seminato senza autorizzazione (richiesta esplicitamente dal decreto legislativo 212 del 24 aprile 2001).
L’agricoltore venne inizialmente condannato dal gip del tribunale di Pordenone con decreto penale di condanna, al pagamento di 25mila euro di multa. L’agricoltore si oppose al decreto e nel febbraio 2011 cominciò il processo.
Il giudice del tribunale di Pordenone chiese l’intervento della Corte di Giustizia Europea, che si pronunciò a favore dell’agricoltore, scagionandolo dalle accuse.
Nel luglio del 2013 Fidenato è stato assolto, ed ha continuato a seminare mais Mon810.
Non avendo però preso alcuna precauzione, le coltivazioni Ogm di Fidenato hanno causato un principio di contaminazione per le coltivazioni limitrofe non-Ogm. Questo è ciò che è risultato dalle attività di campionamento eseguite dal Corpo Forestale, le quali hanno inoltrato le prove dell’illecito alla Procura di Udine.
Sempre nello stesso anno, il 12 luglio 2013 è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il decreto che vieta la coltivazione di mais Mon810.
Fidenato, in seguito a questo decreto firmato dall’allora ministro delle politiche agricole alimentari e forestali De Girolamo, ha fatto ricorso al Tar del Lazio.
Il 23 aprile 2014 il Tar ha bocciato il ricorso. Ciò ha quindi permesso di dare il via libera alla distruzione da parte del Corpo Forestale delle coltivazioni Ogm dell’imprenditore agricolo friulano.
Nonostante ciò, la questione Ogm non è affatto archiviata. La normativa sugli Ogm è contraddittoria, come dimostra il fatto che l’agricoltore avesse vinto il ricorso presentato alla Corte Europea. In Europa infatti la produzione di Ogm non è vietata, ma solo regolamentata dalla direttiva 2001/18/CE. Il decreto che porta la firma della De Girolamo non è affatto definitivo, e posticipa solamente la questione della coltivazione degli Ogm in Italia.
Per quanto riguarda la commercializzazione invece, in Italia sono già presenti Ogm nella catena distributiva. Ad esempio il mangime destinato a scopi di allevamento è in larga parte basato su prodotti Ogm, senza obblighi di tracciabilità in quanto il prodotto Ogm non è direttamente destinato al consumatore finale. Un allevatore con azienda in Italia può nutrire il proprio bestiame con mangime Ogm, ma la carne macellata e tutti i derivati (ad esempio il latte) non hanno l’obbligo di essere bollati come Ogm in quanto il prodotto finale non ha subito direttamente manipolazione genica.
Proprio nel giugno 2014 si è aperta in sede europea la ridiscussione del decreto del 2001 in merito agli Ogm. Il mercato, soprattutto americano, spinge per un’apertura dell’Ue agli Ogm, e ci sono Stati membri che permettono già sia la distribuzione che la coltivazione di Ogm, ad esempio la Spagna. Un paese Ue fermamente contrario agli Ogm è la Francia. L’Ue per compensare questo squilibrio di posizioni sembra propendere per una maggiore autonomia degli Stati membri nella regolamentazione dell’uso di Ogm.
Il tema è scottante: per chi è favorevole, gli Ogm si presentano come una soluzione efficace all’attuale sistema agricolo che non è sostenibile a livello ambientale in quanto presenta costi elevati in termini di uso di risorse, come l’acqua, ed è causa di inaridimento del suolo per effetto dell’uso intensivo di fertilizzanti e pesticidi. Dall’altro lato ci sono i contrari agli Ogm, tra le cui fila non si presentano solamente gli ambientalisti ed i moralisti contrari al progresso. Esiste infatti un dibattito scientifico sulla pericolosità e sull’utilità effettiva degli Ogm in agricoltura che sul piano mediatico resta relegato alle nicchia delle riviste di settore.
Nonostante non ci sia una prova effettiva della pericolosità degli Ogm, una parte della comunità scientifica fa leva sul ‘principio di precauzione’ e contesta gli attuali parametri di controllo, condizionati dagli interessi delle aziende produttrici che molto hanno investito nella ricerca e nell’applicazione di Ogm in agricoltura.
In Italia gli Ogm hanno assunto una connotazione negativa, ma questo necessariamente non vale per l’opinione pubblica mondiale, e comunque non basta per fare da deterrente e per garantire che ciò che mangiamo sia davvero Ogm-free.
La questione ricorda molto il tema del nucleare: il referendum nel 1987 vieta la produzione in suolo italiano, ma ciò ha comportato l’acquisto di energia elettrica prodotta anche da centrali nucleari straniere, dovendo in ogni caso subire il medesimo rischio dei paesi produttori vista la vicinanza geografica alle loro centrali nucleari. Questo per dimostrare che di per sé una decisione nazionale (sia essa giusta o sbagliata) può avere poca influenza sul panorama complessivo.
Senza voler esprimere opinione di parte faccio notare che, alle recenti elezioni europee, la questione Ogm non era tra i punti principali di nessuna agenda politica tra i maggiori partiti, o movimenti, italiani, nonostante si tratti di un tema essenziale per una politica comune europea.
A questo proposito cito il regista americano Woody Allen: ‘Le tre domande fondamentali per l’uomo sono: chi siamo, da dove veniamo, cosa c’è da mangiare stasera per cena?’.
In un momento come questo, parlare di cibo vuol dire fare politica.
Edoardo Dalla Mutta