Non basterà una bufera

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Ho sempre orgogliosamente difeso l’uso dell’oggettiva, imperscrutabile, professionale terza persona singolare negli articoli di cronaca; ma in giorni come questi, con eventi come questi, insieme ai mattoni, alle tegole, ai rami cadono anche le formalità e sento il diritto di potermi esporre in prima persona. Nel pomeriggio del 14 ottobre 2014, ho deciso di inforcare la bici per andare a vedere con i miei occhi – e poter riportare quelle immagini agli occhi degli altri – le conseguenze del fortissimo nubifragio con annessa tromba d’aria che si era abbattuto su Este e dintorni meno di 24 ore prima.

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Il caos, l’allarme e lo spavento della giornata precedente si sono placati, per lasciare posto ad una quiete rassegnata e scomposta. Ci sono cancelli piegati, pali storti, semafori rotti, alberi caduti o con rami penzolanti, finestre e vetrine rotte. Le strade sono popolate di camioncini con i rimorchi straripanti di rami tagliati, di cocci e detriti, di automobili cariche di tegole e attrezzi vari da lavoro, di passanti concitati a naso insù. Per una volta, la vita cittadina si svuota dalla frenesia e ritrova una dimensione più umana: chi sta pulendo e sistemando la casa o il giardino si sporge dal cancello, saluta, domanda, ti rende partecipe del disagio.

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C’è come un filo invisibile che ci collega, silenzioso ma tenace: l’attaccamento per la propria città, che oggi appare come un convalescente spettinato e pieno di ferite, bisognoso di cure e di attenzioni. Queste ultime non tardano ad arrivare: in ogni via c’è qualcuno che lavora, dei ragazzi si sono volontariamente offerti per aiutare. Ma la città è un malato poco riconoscibile agli occhi di chi l’ha vissuta, amata e odiata: le zone più colpite sono quelle di Viale Rimembranze, percorribile solo a piedi tra i tronchi caduti, Via Olmo, con delle auto rimaste sepolte sotto ai detriti, Via Augustea, dove un intero pezzo di muro è caduto, e ancora la zona della biblioteca civica e quella della Salute, la scuola media Zanchi con il tetto divelto, i giardini all’interno del castello. Itinerari che ognuno di noi ha percorso centinaia di volte, angoli che conservano ricordi, volti, intere annate, alberi centenari di cui davamo per scontato la presenza.

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Ma nessun danno è irreparabile, e prima o dopo ogni cosa ritroverà il suo posto, seppure un po’ diverso da prima, sotto lo stesso rassicurante nome.

Valeria Ferraretto