Dal 1951 a oggi, cronistoria delle alluvioni venete

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Il sottopassaggio di Montegrotto Terme, 4 febbraio 2014

Il sud del Veneto è una terra di fiumi e di canali, un tempo usati per la navigazione, oggi per lo più con scopi agricoli. Quando piove per molti giorni, il loro livello si alza pericolosamente e vi è il rischio che possano esondare, come successo negli ultimi giorni. Il dramma che stanno vivendo comuni come Battaglia Terme, Bovolenta, Montegrotto Terme, Selvazzano, e molti altri tra le province di Padova, Vicenza e Rovigo, riporta la nostra mente indietro nel tempo. Perché si tratta del quarto caso di alluvione negli ultimi sette decenni, addirittura il secondo in quattro anni.

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Alluvione del Polesine del 1951

Era la sera del 14 novembre 1951 quando il Po ruppe gli argini, inondando il Polesine e il Cavarzerano, zona in provincia di Venezia al confine con il Rodigino. Per estensione delle terre allagate e per volumi d’acqua esondati, l’alluvione del Polesione è stata la più grande a colpire l’Italia in epoca contemporanea. Il bilancio finale parlò di 84 morti e 180mila senzatetto, oltre alle devastazioni permanenti provocate dall’acqua; le terre allagate rimasero a lungo inaccessibili alla coltivazione, e ciò provocò una pesantissima carestia in una zona la cui popolazione viveva di agricoltura. Tantissimi lasciarono la propria terra d’origine, chi emigrò verso altre province venete, chi cercò lavoro nel triangolo industriale Milano-Genova-Torino, in un vero e proprio esodo, evidente dall’andamento demografico nel periodo 1951-2011: 360mila persone abitavano il Polesine nel giorno dell’alluvione. A tutt’oggi sono 240mila, in leggera diminuzione.

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Passano quindici anni. Il 4 novembre 1966 piogge eccezionali provocarono lo straripamento di tantissimi fiumi e corsi d’acqua in tutta Italia. Le precipitazioni vennero rese così abbondanti da un anomalo aumento delle temperature che provocò allo scioglimento delle nevi alpine, unite al fortissimo scirocco che non permise alle acque meteoriche di finire in mare. Nel Triveneto si contarono 36 vittime (nessuna in Veneto, 16 in Trentino Alto-Adige e 20 in Friuli-Venezia-Giulia), provocate dall’esondazione dell’Adige, del Brenta, del Bacchiglione, del Piave, del Livenza e del Tagliamento. Molte decine di km² di città e campagne furono sommersi. Una delle città più colpite fu Venezia, isolata e assediata per 24 ore dall’acqua alta, il cui livello raggiunse i 194 cm, il valore più alto mai registrato.

Veneto, alluvione del 2010

Ancora un novembre piovoso, quello del 2010. Ancora tanta pioggia. Ancora quello scirocco caldo e maledetto che sgela le nevi e che non permette il deflusso dei fiumi nell’Adriatico. Questa volta le precipitazioni non furono estese come quelle del 1966, ma si concentrarono soltanto in Veneto. Vicenza, la zona ovest e collinare della provincia vicentina, l’area a ovest e a sud-est di Padova, la Bassa Padovana sud-occidentale vennero messe in ginocchio, a causa dell’esondazione del Bacchiglione e di alcuni canali e fiumiciattoli minori. Vicenza, Caldogno, Soave, Casalserugo, Saletto, Bovolenta, Veggiano alcuni dei comuni più colpiti dagli straripamenti dell’1 e 2 novembre. I dati: 3 morti, 3500 sfollati, 130 Comuni coinvolti, 200.000 animali deceduti. 500.000 persone interessate, 140 km² direttamente allagati, 1 miliardo di euro di danni. L’11 novembre anche il Capo dello Stato Giorgio Napolitano fece sentire il proprio sostegno morale agli alluvionati, in visita a Vicenza.

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Via Belvedere a Rovolon, 5 febbraio 2014

Inizio febbraio, 2014. Ci risiamo. Già ora è caduta più acqua di quanta ne sia scesa quattro anni fa, ma la situazione, in generale, è decisamente migliore. Oggi ha piovuto poco o nulla, stasera riprenderanno le precipitazioni; quando l’incubo finirà giungerà l’ora di ricostruire, di pulire, di tirare le somme, di addossare responsabilità e di cercare una soluzione affinché tutto questo non si ripeta. Quando l’incubo finirà. Ora si può solo sperare.

Giacomo Visentin