STOCCOLMA. Nizza, Berlino, Londra, Stoccolma. Quattro attacchi terroristici compiuti a bordo di un veicolo e targati Isis. Una lunga striscia di sangue a cui si la capitale svedese si è purtroppo aggiunta ieri, colpita al cuore verso le 15 (le 14 in Italia). Un camion ha falciato un gruppo di persone che passeggiavano lungo una delle strade principali, uccidendone quattro, ferendone almeno quindici e concludendo la propria folle corsa contro un magazzino commerciale. La caccia all’uomo scattata dopo l’attentato ha portato all’arresto di un uomo che ha rivendicato le responsabilità dell’attacco, ma secondo quanto comunicato dalla polizia l’autista del tir è ancora in fuga.
A Stoccolma si trova anche Luca Menesello, 25 anni, di Cinto Euganeo. Luca è uno studente del corso di Marketing & Innovation all’Università Ca’ Foscari di Venezia ed è in Svezia da metà gennaio perché sta partecipando all’Erasmus Placement, il programma europeo che permette di svolgere un tirocinio formativo all’estero. Al momento della strage si trovava in ufficio. «È arrivato un messaggio sul gruppo WhatsApp, in cui ci sono alcuni ragazzi che ho conosciuto e che frequento qui. Un ragazzo serbo ci chiedeva se stessimo tutti bene, mettendoci a conoscenza di quanto accaduto in centro città».
La via pedonale teatro della tragedia, la Drottninggatan – letteralmente, “strada della regina” -, è nel cuore della zona commerciale: ci sono ristoranti, magazzini e soprattutto tanti negozi delle grandi firme. «All’inizio eravamo piuttosto scettici riguardo un possibile attentato, pensavamo si trattasse di un semplice incidente» racconta. La conferma della matrice terroristica è arrivata dal primo ministro svedese, Stefan Löfven. «A quel punto abbiamo completamente lasciato perdere le incombenze lavorative e abbiamo seguito la diretta televisiva, cercando di capire cosa stesse succedendo».
La metro è rimasta totalmente chiusa per diverse ore, per poi riaprire nel tardo pomeriggio. «Passo per la stazione della zona colpita ogni giorno, un po’ di paura inizialmente ce l’ho avuta» ammette Luca. «Proprio qualche giorno fa è venuta a trovarmi la mia famiglia e abbiamo parlato dell’eventualità di un attentato qui a Stoccolma. Dicevo “no, impossibile“. Sono rimasto spiazzato. La Svezia è un Paese culturalmente molto aperto e tollerante, una società che tende all’egualitarismo e all’adattamento al “diverso”». Nonostante l’efficienza del welfare svedese, la realtà racconta di una città spaccata in due: da una parte i quartieri della classe media, dall’altra i ghetti – tra cui il famoso Rinkeby – zone periferiche in cui si aggregano gruppi di etnie diverse, dai somali ai siriani, dai bosniaci ai bengalesi. Il rischio che queste aree si trasformino in polveriere sociali, e dunque terre di conquista del fondamentalismo islamico, è molto forte.
Gli svedesi, ad ogni modo, paiono aver assorbito in fretta il colpo. «Mentre tornavo a casa mi sono guardato intorno e sembrava non fosse accaduto nulla. La gente passeggiava per il centro, rilassata e con passeggini al seguito. Riflettendo, a freddo, penso abbiano ragione loro. Alla fine, questa sera si esce e si va a bersi una birra in compagnia. Non per mancare di rispetto alle persone morte ieri, ma perché è l’unico modo per non darla vinta ai terroristi, per esorcizzare la paura, per mantenere la nostra libertà». Luca tornerà in Italia a fine aprile. «La mia esperienza, oltre al grande valore professionale, è un’esperienza di vita. Purtroppo, la prima cosa che mi verrà chiesta quando tornerò a casa non sarà com’è la vita qui, come sono le persone, cosa ho imparato. Mi si chiederà dell’attentato. E questo, ahimé, rovinerà un po’ la magia della mia esperienza».