Quella delle sostanze perfluoro-alchiliche (Pfas) è una vicenda tristemente nota, ma anche in continuo sviluppo. La scoperta di sostanze inquinanti nelle acque superficiali, sotterranee e destinate al consumo umano nel territorio veneto risale al 2013. Fin dall’inizio sono nate forti critiche per il ritardo degli interventi e il rimbalzo di responsabilità, situazione che ha portato a manifestazioni da parte dei cittadini e dei neonati comitati “No pfas” per chiedere maggiore chiarezza e provvedimenti tempestivi. Si sono svolti diversi studi per identificare l’area e la popolazione interessata, sono stati imposti limiti per la presenza degli inquinanti nelle acque e a ottobre 2017 la Regione Veneto ha diminuito nuovamente i valori, definendoli limite-obiettivo. Inoltre, per i 21 Comuni appartenenti alla “zona rossa” (area di massima esposizione agli inquinanti) è stato fissato l’obiettivo “zero pfas”, ovvero si dovrebbe raggiungere la somma di Pfas e Pfos inferiore o uguale a 40 ng/l in un arco temporale di sei mesi (analisi visibili qui).
Nei soggetti esposti all’inquinamento da pfas sono stati trovati nel sangue livelli ben superiori ai limiti imposti, e diversi studi hanno confermato gravi danni per la salute umana. Nel 2001 lo studio americano C8 Health Project, sorto per i danni ambientali compiuti dall’azienda americana DuPont nel fiume Ohio, ha classificato i composti perfluoroalchilici come cancerogeni e possibili interferenti endocrini, collegati anche a patologie come tumore al rene e al testicolo, malattie della tiroide, ipertensione in gravidanza. Nel 2016 è stato prodotto dal lavoro di Enea (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie e l’energia) e Isde (Associazione medici per l’ambiente) uno studio epidemiologico. I risultati dell’indagine hanno segnalato aumenti significativi di mortalità nelle zone in cui le concentrazioni delle sostanze sono maggiori, con decessi collegati a diabete e infarto miocardico acuto nella popolazione maschile e diabete, malattie cerebrovascolari, infarto e Alzheimer nella popolazione femminile.
Durante le prime indagini era stata individuata come sorgente inquinante la zona in cui opera lo stabilimento chimico Miteni Spa, a Trissino. A gennaio 2017 sono stati trovati rifiuti chimici contenenti Pfas nel sottosuolo dell’azienda, e successivamente è stato predisposto un piano di caratterizzazione con il conseguente fermo dei reparti, interventi agli impianti e carotaggio. L’azienda di Trissino ha ritenuto il piano superfluo e con tempistiche troppo lunghe rispetto al suo progetto aziendale, che prevede vasti scavi con 122 trincee, considerate da Miteni più efficaci dei carotaggi. Si è inoltre rivolta al Tar per chiedere un risarcimento di circa 98,5 milioni di euro, somma che rappresenterebbe la stima dei danni futuri che l’azienda subirebbe se fosse confermato il piano di monitoraggio con carotaggi.
A metà febbraio 2018 la Commissione parlamentare ecomafie ha redatto un rapporto in cui è emersa la conoscenza, da parte della Miteni, dell’inquinamento nei terreni e nella falda da oltre vent’anni. Inoltre, nella relazione viene indicato che la contaminazione è ancora in atto, con la conseguente esposizione della popolazione. L’azione penale però non è così immediata. Secondo il procuratore capo Antonino Cappelleri le sostanze (Pfas) non possono essere considerate inquinanti perchè non registrate nelle tabelle di riferimento. Il reato per disastro ambientale esiste da maggio 2015 e non ha valore retroattivo, quindi per le azioni avvenute prima di questa data si agirà secondo il reato di disastro colposo. Intanto la Regione Veneto ha avviato un provvedimento per costituirsi come parte offesa, anche per reati più recenti come inquinamento e danno ambientale.
A febbraio 2018 il comitato “Mamme no pfas” ha partecipato ad un tavolo di confronto con il Ministero dell’Ambiente, Regione Veneto e Veneto Acque, ottenendo la conferma che il finanziamento di 80 milioni di euro statali previsti per le nuove fonti, rigorosamente pulite, è confermato. E’ stata espressa la volontà di dichiarare lo stato di emergenza per la Regione Veneto, con la nomina di un commissario straordinario che permetterà un intervento più celere rispetto all’iter ordinario, lo sblocco dei fondi statali e regionali e un piano per i lavori più urgenti. La Regione Veneto ha varato un bando di ricerca (visibile qui) di durata biennale, che prevede lo studio delle conseguenze che le sostanze pfas causano alla salute umana. Il concorso prevede un finanziamento di 300.000 € per i progetti più innovativi, che dovranno essere presentati entro il 19 marzo.