PIOVE DI SACCO. Si vociferava da qualche giorno ed ora è giunta la conferma: l’ospedale di Piove di Sacco perde anche l’Ufa, l’unità farmaceutica antiblastici. Il servizio di preparazione dei farmaci per le cure dei tumori, infatti, da marzo verrà trasferito a Schiavonia. È un fulmine a ciel sereno quello che si abbatte nella Saccisica: lo scorso anno il nuovo centro era costato 300 mila euro e solo nel settembre 2016 aveva superato l’esamina della commissione consiliare venendo definito “un vero e proprio gioiellino” dalla direzione sanitaria. Ma qualcosa è cambiato con Azienda Zero. Con la ristrutturazione delle Usl e – probabilmente – con lo scopo di minimizzare le spese, la Regione ha spinto la neonata Azienda Euganea a ridurre il numero delle Ufa esistenti. A confermarlo il direttore medico Carla Destro: «L’unica a non poter assorbire le richieste di preparazione di altre oncologie era quella piovese, è stato quindi scelto di assegnare le attività a quelle di Schiavonia, vista la facilità con cui il sito è raggiungibile e visto che la logistica, la struttura e l’organizzazione ne permettevano un potenziamento tale da corrispondere anche alle esigenze di allestimento delle preparazioni oncologiche per Piove di Sacco». La direttrice rassicura poi: «Nulla di quanto investito resterà inutilizzato dato che le attrezzature sono state ricollocate nella nuova sede di allestimento. Sono invece stati interrotti i vari e costosi contratti di manutenzione del laboratorio».
Con l’ennesimo taglio alla struttura ospedaliera piovese, si alimentano le polemiche e questa volta ad alzare la voce è il consigliere di maggioranza Lino Conte, presidente della commissione consiliare per la valorizzazione dell’ospedale: «Stranamente si risparmia sempre a Piove di Sacco. Tra qualche tempo dovrebbe anche andare in pensione il primario di Oncologia, Adriano Fornasiero. Chissà quando e se sarà poi sostituito. Basti pensare che stiamo attendendo le nomine di Chirurgia e Anestesia da più di un anno. Per quello di Ostetricia abbiamo dovuto attendere due anni. Queste carenze disorientano la cittadinanza che logicamente ha anche iniziato a orientarsi verso altre strutture. Non vorrei mai che poi si arrivasse a dire, come è successo per il caso del punto nascite, che bisogna chiudere tutto perché non ci sono più i numeri sufficienti per giustificare la presenza di un presidio».