PADOVA. Tutti i giorni i media raccontano di uomini e donne che giungono dall’Africa e da lì, salendo su un barcone che non è dato sapere se arriverà a toccare terra, cominciano un viaggio in mare con la speranza di una nuova vita. Quali sono le parole che contraddistinguono queste storie e quelle che rappresentano le realtà dell’accoglienza? Da Bagnoli giungerà tra un paio di mesi il nome della nuova cooperativa che amministrerà l’hub provinciale. Ad Abano, notizia confermata dalle autorità locali ma non dal commissario Aversa, dovrebbero trovarsi sei migranti mentre a Montegrotto, a febbraio, arriveranno 14 giovani che, ospiti alla Casa Santa Chiara, svolgeranno a titolo gratuito lavori socialmente utili.
Un esempio del progetto Sprar, quello sampietrino, che negli ultimi mesi ha trovato adesione in località dell’alto padovano come Cadoneghe ma che stenta a prendere piede in Veneto. Lo Sprar, il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, è costituito dalla rete degli enti locali che per progetti di accoglienza integrata accedono al fondo nazionale per le politiche dei servizi di asilo. Si parla invece di accoglienza diffusa come di un modello creato per ridurre il sovraffollamento di realtà come Cona o Bagnoli – tanto per nominare realtà vicine – e che prevede la distribuzione di 3 (2,5 a essere precisi) migranti ogni 1000 abitanti.
Insieme allo Sprar, l’accoglienza diffusa vorrebbe arrivare a garantire una ripartizione equilibrata dei rifugiati e dei richiedenti asilo con l’obiettivo di liberare gli hub – tralasciando il significato informatico, dall’inglese “centro” – dal sovrannumero. Hub è uno di quei termini poco chiari nel complesso mondo dell’accoglienza; in queste strutture vengono trasferiti coloro che dopo essere stati identificati, presentano la domanda di asilo. Per questo gli hub sono luoghi di prima accoglienza che, trascorso il periodo di “sosta”, dovrebbero inserire i richiedenti asilo in programmi di seconda accoglienza di cui lo Sprar è parte e dovrebbe fare da modello. L’intensificarsi dei flussi migratori – nello scorso anno sono sbarcati in Italia 181 mila persona, contro i 153 mila del 2015 – ha determinato il caos nei centri di Cona e Bagnoli.
Per molti, chi arriva in Italia è un clandestino, nell’accezione latina «ciò che odia la luce» e oggi chi si trova irregolarmente in un luogo sprovvisto dell’approvazione delle autorità o contro il divieto delle leggi vigenti. Non tutti coloro che sbarcano sulle coste italiane sono clandestini. Un profugo, è chi per fuggire a guerra, fame o povertà ha lasciato la propria nazione di origine ma non è nella condizione di chiedere protezione internazionale. Allora a chi ci si riferisce quando si parla di migrante? Una persona che sceglie volontariamente di lasciare il proprio paese per cercare migliori condizioni di vita ed economiche altrove.
Questa descrizione differisce ancora da chi possiede lo status di rifugiato il quale, «temendo ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità o appartenenza a un determinato gruppo sociale, od opinione politica, si trova fuori dal paese di cui possiede la cittadinanza e non può o non vuole avvalersi della protezione di tale paese» (1951, Convenzione di Ginevra sui rifugiati). Un migrante, a differenza di un rifugiato, può far ritorno al proprio paese di origine in condizioni di sicurezza. L’ondata migratoria nella Penisola è un’emergenza che ha bisogno di molte parole per essere raccontata; ognuna di queste ha significati precisi che chiedono di essere tenuti in considerazione.