ABANO TERME. Eleonora Zanchin, 26 anni, una laurea in design del prodotto industriale, una grande passione per la pallavolo che condivide con la sorella minore Emanuela impegnata nel volontariato. Questo amore trasmesso dalla famiglia, che fin da quando era piccola ha insegnato a Eleonora a guardare al prossimo, sia esso un parente o uno sconosciuto ha fatto nascere in lei il desiderio di aiutare in prima persona chi sta dall’altra parte del mondo. Da quando ha 17 anni, Eleonora prende un aereo e vola verso l’Etiopia. Nel 2009, anno in cui per la prima volta ha incontrato il popolo etiope, non avrebbe mai creduto di tornare in quelle terre così spesso. Il ‘mal d’Africa’ – assicura Eleonora – esiste.
Cosa significa al giorno d’oggi fare volontariato?
«Oggi fare volontariato può significare tutto e niente. Personalmente questa parola l’associo da sempre a con – passione e non compassione, concetto che potrebbe essere ricondotto al mondo del volontariato. Con passione aiuto gli altri e questo mi fa stare bene; metto a disposizione le mie conoscenze e le mie capacità per aiutare le persone. Alcuni considerano il volontariato un lavoro ma, dal mio punto di vista, si tratta di una passione da sfruttare dando qualcosa di sé al prossimo. Purtroppo – continua Eleonora – in molti oggi lucrano su questo mondo, tralasciando la condizione in cui si trovano le persone; umiltà e amore sono invece fondamentali».
In quali zone dell’Etiopia presti servizio e di cosa ti occupi?
«Il mio primo viaggio è stato con l’”Associazione Nuova Famiglia” di Selvazzano. Io e gli altri volontari siamo partiti per un mese a seguito di un anno di preparazione. In un piccolo paesino della regione di Guraghe, a 350 chilometri da Addis Abeba, che è possibile raggiungere solo attraverso strade sterrate e quattro ore di viaggio, ci siamo messi a disposizione del villaggio con un gruppo di religiose. Qui abbiamo trovato anche alcuni meritevoli ragazzi del luogo che grazie ai fondi raccolti dall’associazione hanno potuto essere formati per dare assistenza medica. Oltre che supportare il lavoro dei medici in queste zone ho dedicato molto tempo ai bambini. Dopo questa prima esperienza africana, tornata a casa non facevo che pensare alle persone incontrate e per questo, dal 2009, sono stata altre cinque volte in Etiopia, l’ultima circa un mese fa. In Africa ho conosciuto realtà del volontariato di tutta Italia accomunate dal desiderio di aiutare il prossimo. Negli anni, ho prestato servizio anche alla popolazione della regione di Oromia a nord dello stato».
C’è un episodio particolare che ti lega a queste terre?
«Ho moltissimi ricordi africani. È difficile scegliere quale raccontare ma probabilmente si tratta della scena che mi si è presentata davanti agli occhi una mattina, dopo una pioggia abbondante. La scuola di Wheqepca, costruita con paglia e fango, era inagibile. I bambini pur di fare lezione hanno recuperato un foglio, lo hanno appeso a un albero, hanno aperto i quaderni e ripreso a scrivere da dove avevano terminato la volta precedente. Ancora oggi questo mi fa riflettere, perché penso a quando al liceo ho scioperato per il riscaldamento troppo basso, ma a pensarci bene il tetto che avevo sopra la testa era solido. Per quei bambini studiare era un privilegio, per molti di noi qualche volta un peso».