Bruxelles in ginocchio, l’Europa raggela. Di nuovo, come poco più di quattro mesi fa. La paura ci riporta a Parigi, al XII Arrondissement, al Bataclan. Nulla è cambiato. Zoppica il Vecchio Continente, colpito nel suo centro e nel suo cuore. 34 morti e oltre 240 i feriti: il numero delle vittime continua ad aumentare dopo l’attacco terroristico avvenuto nella mattinata di ieri nella capitale belga, mentre l’Isis rivendica la strage dell’aeroporto di Zaventem e della metro e i treni della stazione Maelbeek.
Erano all’incirca le 8 quando, al Terminal 1 di Zaventem, sono in entrati in azione i kamikaze: due forti esplosioni hanno distrutto l’area dei check in delle partenze verso gli Stati Uniti e un’area limitrofa al bar della catena Starbucks. Andrea, 24enne di Pernumia che ha scelto Bruxelles come casa, stava andando a lavoro quando ha appreso la notizia di quest’attacco: «Arrivato in ufficio ci siamo accorti che, effettivamente, quanto accaduto sembrava essere riconducibile a un attentato. Sono rimasto nel mio posto di lavoro cercando di comprendere al meglio la situazione, mentre all’esterno sono stati innalzati i livelli di sicurezza. E poi, verso le 9.30, è arrivata la notizia dell’esplosione di un’altra bomba nelle tre linee della metro che portano alle istituzioni europee.»
Alle 9.11 una forte esplosione ha devastato la stazione metro di Maelbeek, in rue de la Loi a pochi centinaia di metri da dove lavora Daria, venticiquenne padovana arrivata a Bruxelles a fine febbraio. Come ogni mattina da un mese a questa parte stava percorrendo in completa tranquillità il tratto “casa-ufficio” fino a quando non è stata invasa da messaggi: «Stavo andando in centro a piedi. Mentre camminavo hanno cominciato a scrivermi amici e parenti per assicurarsi che stessi bene, allegandomi link e notizie sulle esplosioni di Zaventem e Maelbeek. Così ho deciso di accellerare il passo per raggiungere l’edificio in cui lavoro». Sembra tutto finito quando, pochi minuti dopo scatta l’allarme: altro boato, questa volta nel mirino la metro Schumann. «La polizia correva verso Schumann, senza fermarsi a Maelbeek, ecco come abbiamo scoperto della seconda esplosione. Con i miei colleghi ho trascorso l’intera giornata in ufficio tenendo sotto controllo la situazione dalle finestre che danno sulla piazza del Parlamento».
Macchine blindate e militari, caos e disordine nella Grand Place: «Paura sì, ma non ci chiuderemo in casa. Non faremo il loro gioco» assicurano Daria e la sua coinquilina Claudia, anche lei nativa della Bassa Padovana e studentessa della ULB (Université libre de Bruxelles). Terribile déjà-vu per lei. A novembre, durante l’inizio della caccia a Salah dopo gli attacchi di Parigi, Claudia c’era. Era chiusa in casa e ha visto la sua amata Bruxelles svuotarsi di vita e riempirsi di militari e carri armati. «Hanno sospeso lezioni e corsi, dovevo uscire ma non mi sono mossa. Il clima adesso è ancora più teso rispetto a novembre.» Infine confida: «Mi sento vuota. Ho mangiato con tutti i coinquilini, ridiamo, scherziamo ma ogni tanto incrociamo i nostri sguardi sapendo cosa sta succedendo qui fuori e vediamo il nulla nei nostri occhi per una frazione di secondo. E’ orribile».
Lo spettro della paura si è abbattuto ancora una volta nel mondo occidentale. Gli attentati di Bruxelles non sono altro che l’ennesimo avvertimento di ciò che è in grado di fare il terrorismo, il cancro che abbiamo lasciato crescere ed espandere all’interno dei nostri Paesi. Ma mentre l’Isis promette nuovi e imminenti attacchi, il mondo intero si stringe al cuore dell’Europa che, speriamo, tornerà presto a battere più forte di prima.