ATTUALITA’ – “Sono un peso”. E si uccide

0
467

1Perché?

Eccola lì la solita, disperata domanda che risuona nella testa di ognuno di noi quando un ragazzo si toglie la vita. Abbiamo bisogno di sapere per quale motivo ha preso quella terribile decisione. Vogliamo capire, dare un senso all’accaduto, trovare una logica, spiegare ciò che appare inspiegabile. Il più delle volte, però, non otteniamo nessuna risposta. Intanto il tempo sbiadisce l’interesse. Trascorsa una settimana, i giornali smettono di dare spazio all’evento e la gente, piano piano, se ne dimentica. Gli argomenti di discussione nei bar e nelle piazze diventano altri.  Ma c’è qualcuno che non può dimenticare. Per i genitori, i familiari, le persone più vicine alla vittima, il dolore è e rimarrà straziante. Non basteranno le parole, le condoglianze, gli abbracci, l’affetto. Nessuno sarà mai in grado di riempire il vuoto lasciato dal loro caro. Nessuno.

A Montagnana è una grigia domenica pomeriggio. David ha da poco finito di pranzare assieme alla famiglia a casa della nonna. Il giovane studia a Venezia, all’Its nautico e torna a casa solo nel week end: tutti sono felici di vederlo. Non sembra esserci nulla che lasci presagire l’incombente tragedia. Ma, evidentemente, qualcosa che non va c’è, anche se forse nessuno saprà mai cosa. David saluta i parenti, sale in bicicletta e torna a casa. Non prepara i bagagli per tornare a Venezia, come fa di solito. Sceglie di compiere l’irreparabile. Si uccide. La madre, rientrata a casa per accompagnarlo alla stazione, se lo ritrova in salotto, esanime. Il figlio che a prezzo di tanta sofferenza ha generato, carne della sua carne, sangue del suo sangue, giace nella stanza, morto. Il sole con cui era cominciata la giornata è sparito e ora piove a dirotto. E’ il cielo che piange sulla vita appena volata via dal corpo di un diciassettenne. Un ragazzo che sognava di solcare il mare e che invece sarà troppo presto ricordato da una fredda lapide di un cimitero. Accanto al cadavere c’è un biglietto con le ultime, drammatiche parole di David: “Sono un peso”. Un peso. Come quello che rimane nel nostro cuore.

Il male invisibile è spesso più pericoloso di quello visibile. Il dolore interiore sa essere ben più intenso di quello fisico. Troppo spesso ci dimostriamo sordi e ciechi nei confronti delle persone. Troppo spesso, per comodità o leggerezza, ignoriamo le silenziose richieste d’aiuto che ci arrivano. Andiamo avanti per la nostra strada, preoccupandoci solo di noi stessi e del nostro benessere. Quante volte chiediamo “come stai” a un nostro amico preoccupandoci davvero della risposta? Poche. In un mondo tutto apparenza in cui lo stile sostituisce l’identità, il “come stai” è diventato una semplice formula ripetuta per abitudine, un rito di circostanza e nient’altro. Pensiamo solo a noi stessi e alla nostra immagine. Curiamo in modo maniacale il nostro aspetto e trascuriamo i rapporti umani, che diventano sempre più freddi, meccanici, artificiali. Nascondiamo ogni cosa dietro l’ipocrisia di un sorriso che non è mai stato così falso. Dentro, magari, stiamo morendo. O stanno morendo gli altri. Ma tanto stasera si esce e si sta meglio.

ascoltareOggi tutti parlano, e nessuno si preoccupa più di ascoltare. Pronunciamo le parole con foga, come se fossimo sotto esame e dovessimo dimostrare qualcosa, celebriamo noi stessi e giustifichiamo le nostre azioni, mettendo in luce sempre i nostri meriti e mai i nostri demeriti. Facciamo qualche domanda al nostro interlocutore tanto per fare conversazione, ma la risposta neanche la sentiamo perché siamo già impegnati a riflettere su ciò che diremo poi. Così ognuno resta solo a fare i conti con i propri fantasmi e tutto diventa più difficile. Ma tanto c’è Facebook e lì mi posso sfogare.

Quando una persona si suicida, la responsabilità ricade sull’intera società. Mentre siamo impegnati nelle nostre occupazioni quotidiane, spendiamo qualche momento per guardarci intorno e regalare un po’ del nostro interesse alle persone, non solo agli amici, ma anche a chi non fa parte della nostra cerchia più ristretta. In fondo a volte basta davvero poco: una parola, un cenno, un sorriso. Parliamo, ma soprattutto impariamo ad ascoltare l’altro. Magari non salveremo il mondo, ma almeno ci avremo provato. E così, magari a nostra insaputa, avremo dato a una persona un motivo in più per arrivare in fondo alla giornata.

Davide Permunian