ATTUALITA’ – La via del dragone

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In Italia siamo 58 milioni e mezzo di persone. Siamo stati più volte definiti una “popolazione vecchia “, a causa del numero di nascite sempre in calo e la conseguente trasformazione in una società “di anziani”. Come sappiamo, nel nostro Paese vivono anche 2 milioni di stranieri, che per ragioni di studio o di lavoro immigrano qui, soprattutto dall’Estremo Oriente.

La crescita economica cinese è inarrestabile e incomparabile e il mercato è saturo di loro prodotti in ogni settore.

Voglio premettere che non intendo  neanche lontanamente fare discorsi  razzisti, improduttivi, inutili, ingiusti e anacronistici. Credo che lo scambio interculturale non possa che arricchirci, sono tuttavia orgogliosa di essere italiana: abbiamo nel nostro Paese delle eccellenze che non riguardano solamente la cultura, l’arte, il territorio; anche la cucina, la moda e il design ci rendono invidiati in tutto il mondo.

Evidentemente però, questi primati non sono destinati a rimanere tali in almeno in uno dei campi sopra citati. Ovunque ormai, vediamo ristoranti e luoghi di ristoro gestiti dagli “occhi a mandorla”, e persino i nostri locali storici sono stati comprati dagli intraprendenti orientali. Due bar nel centro di Este, uno di fronte all’altro hanno cambiato gestione e, vista la premessa, indovinate chi sono i nuovi proprietari? O meglio, da dove vengono? Sono bravi, non c’è che dire, lavoratori, stakanovisti, intraprendenti, più pronti a rimboccarsi le maniche di noi, pagano subito e stanno inesorabilmente entrando in possesso di tutte attività che, almeno in apparenza, sono economicamente redditizie.

Non credo si possa fermare questo processo, gli altri paesi industrializzati ci sono passati molto prima di noi! Ma non posso non provare una certa amarezza nel notare che anche la nostra Bella Italia sta diventando sì sempre più globalizzata, ma stia anche perdendo la sua inconfondibile identità, la sua originalità e le sue tradizioni millenarie.

E’ come una donna straordinaria e intrigante: ha una classe e un’unicità innate, a volte è colta, ma anche “caciarona”, può urlare, ma anche tacere e farsi ammirare in tutta la sua bellezza, è sbarazzina quando indossa le scarpe da tennis, sofisticata invece con tacchi a spillo vertiginosi e ti fa voltare e fischiare al suo passaggio; ma questa signora meravigliosa sta perdendo la parte migliore di sé: il cuore.

Lucrezia Guzzon

6 Commenti

  1. sì è vero ho appreso anch’io della trattativa… mi scuso per l’errore. Tuttavia non sono pienamente d’accordo sul concetto.

  2. Neanche io sono totalmente d’accordo con l’articolo. Mi spiego: è chiaro che le abilità imprenditoriali degli orientali ci hanno colto un po’ di sorpresa e che molti commercianti italiani ne hanno risentito negativamente. Non mi soffermo a parlare di questo perché le mie conoscenze di tipo economico si fermano al concetto di concorrenza del mercato libero. Tuttavia, ciò su cui non sono d’accordo è l’idea che, se certe attività commerciali vengono prese in mano da stranieri, l’identità italiana possa venire meno o in qualche modo soffrirne. Che cos’è che ci rende italiani, oggigiorno? Le grandie piccole case di moda e moltissime altre imprese italiane hanno le proprie fabbriche all’estero (in Asia, in Est Europa) eppure, anche se gli sgargianti ed eleganti abiti Benetton vengono fabbricati da operai romeni o cinesi, continuiamo a considerarli un prodotto italiano al 100%.
    Altro esempio: chi lavora nel retrobottega dei panifici oggigiorno (soprattutto nei centri medio-grandi)? Ebbene, il buonissimo pane (da sempre anch’esso simbolo dell’italianità, insieme alla pasta, la pizza…) che mangiamo ogni giorno è spesso fatto da mani straniere, ma ciò non lo rende meno buono.
    In una città piccola come Este, il “sopravvento” dei commercianti orientali può sembrare bizzarro e addirittura allarmante, ma nelle grandi città questo è ormai la norma da anni.
    Per quanto riguarda l’allusione a quei due celebri bar del centro atestino, sinceramente non credo che l’acquisizione da parte di commercianti cinesi possa causare una perdità d’identità, considerato il tipo di prodotto che da sempre, anche quando c’erano gestori italiani, viene offerto in quei locali: bevande alcoliche e analcoliche che hanno ben poco di italiano (a parte, forse, lo spritz, anche se pure questo famoso aperitivo ha origini austriache) e prodotti confezionati e surgelati (brioche, patatine, semplicissimi trammezzini…). Ma anche se quei locali avessero proposto prodotti tipicamente veneti, cosa sarebbe cambiato con l’arrivo di proprietari cinesi? Niente avrebbe impedito loro di continuare a servire lo stesso prodotto alla stessa maniera. Nella città dove abito ora c’è un panificio, che è gestito da una giovane coppia di indiani: fanno la focaccia alle noci e la cecina più buone del mondo, e io non credo che la nazionalità dei proprietari renda il prodotto meno italiano.
    Quindi: è vero che spuntano ristoranti etnici come funghi, ma anche dietro a ciò che noi consideriamo ancora tipicamente italiano c’è già da tempo la manodopera straniera, dunque è anche grazie a loro se l’Italia riesce a mantenere la propria identità.

  3. Sono perfettamente d’accordo con te! Non intendevo sminuire ,la qualità offerta dai negozi che ora sono gestiti da persone di altra nazionalità, mi dispiace di essere stata fraintesa. Ho detto che stiamo diventando “globalizzati”, giustamente e come tutti gli altri paesi. Non ci sono accezioni negative nei miei scritti, anzi! Trovo che sotto molti punti di vista siano da premiare perchè svolgono un lavoro in alcuni casi più preciso del nostro. Quello che intendevo dire, come ho sottolineato, è che trovo questo cambiamento poco familiare, repentino. Siamo già abituati a vedere nelle grandi città questo fenomeno, ma in un paese relativamente piccolo come Este, è una cosa nuova, a cui sicuramente ci abitueremo. Per quanto riguarda la “perdita della nostra identità”, ti porto un esempio: la Turchia vent’anni fa era orientale, affascinante, e mi dicono meravigliosa. Negli ultimi anni questo Paese si è occidentalizzato, ha perso molto del suo fascino per diventare un luogo ordinario, anche se sempre apprezzabile. L’Italia perde la sua identità quando lascia cadere le sue tradizioni. Il “rischio”, se mi passi il termine, è quello di diventare tutti uguali.

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