MONSELICE. Continua il botta e risposta a distanza tra il comitato Lasciateci Respirare e la cementeria di Monselice, di proprietà del gruppo Buzzi Unicem, in seguito al ritrovamento di diossine, furani e pcb nel corpo di una gallina del monte Ricco. Qualche giorno fa dalla cementeria avevano dichiarato di non essere i responsabili della contaminazione rilevata, in quanto «i composti indesiderati come diossine (Pcdd), furani (Pcdf) e policlorobifenili (Pcb) si generano al di sopra dei 300 gradi e risultano stabili fino a circa 700: oltre i 750 gradi si innescano delle reazioni di trasformazione che portano progressivamente alla loro distruzione termica», sottolineando come all’interno del forno da cemento si raggiungano anche i 2000 gradi di temperatura.
«Le loro emissioni sarebbero a norma di legge, nessuno afferma il contrario» afferma Francesco Miazzi, il leader del comitato. «Qui si sta dicendo che i limiti concessi alle cementerie sono dalle 3 alle 9 volte superiori a quelle degli inceneritori. E il flusso di massa dei loro fumi è circa 10 volte superiore a quello di un inceneritore di medie dimensioni. Non a caso sono classificati come industrie insalubri di prima classe». Riguardo i picchi raggiunti dal forno, e la conseguente distruzione delle molecole inquinanti, Miazzi non mette in dubbio che si possano toccare certe temperature, «ma nemmeno è possibile mettere in discussione che in tutti i processi industriali si registra un fenomeno chiamato “sintesi de novo”, dove nell’intervallo tra i 200 e i 450 gradi le diossine si riformano. I cementieri hanno la bacchetta magica del raffreddamento rapido dei fumi che evita questa sintesi?», si domanda provocatoriamente Miazzi.
«Secondo l’Epa, l’ente di protezione ambientale statunitense – prosegue il leader ambientalista – i cementifici Usa sono la seconda fonte di diossine e furani dopo gli inceneritori per rifiuti urbani, grazie alla scelta di utilizzarli per bruciare rifiuti industriali. Si parla di 0,29 nanogrammi di diossina emessa per chilogrammo di clinker prodotto nei cementifici che non utilizzano i rifiuti come combustibili, e di 24,34 per quelli in cui questo avviene». Il motivo dell’utilizzo dei rifiuti nel ciclo di produzione del cemento, secondo Miazzi, è piuttosto chiaro: «Sostituire il pet coke con la plastica riciclata porterebbe nelle casse di Buzzi Unicem, ogni anno, un introito di oltre 17 milioni di euro, per un totale superiore ai 200 milioni nei presunti 12 anni di funzionamento. Ecco spiegata perché tanta determinazione a voler sostituire il combustibile tradizionale con quello ricavato dai rifiuti».