Questa settimana ci occupiamo di un tema piuttosto caldo, scottante e tristemente noto nelle cronache sportive da un po’ di tempo a questa parte. Si tratta della violenza nello sport, fenomeno che ha preso e sta prendendo sempre più piede nell’ambito mediatico relativo allo sport.
Risulta abbastanza complicato inquadrare nel migliore dei modi questo fenomeno data la sua vastità e complessità e viste le numerose sfaccettature che lo compongono e contraddistinguono. Proviamo ora ad analizzare i punti cardine di questo problema e di questa piaga che colpisce il mondo sportivo. Quali sono le cause che lo generano? Quali i motivi principali? Quali le soluzioni da adottare in merito?
Questi atteggiamenti violenti si verificano in pressoché tutte le discipline sportive specie nelle partite importanti e tra squadre forti, conosciute o solitamente più frequentemente tra tifoserie dove la rivalità tra città è sentita particolarmente ed è più pressante e accesa.
Partendo dalle cause è importante iniziare con la dichiarazione dello psicologo Jeffrey H. Goldstein che dice: “Le persone che assistono a uno sport aggressivo tendono a diventare a loro volta aggressive; in questo modo la sequenza di eventi tende a perpetuarsi per forza propria: i tifosi si sentono aggressivi, vedono o sentono aggressione e quindi agiscono aggressivamente”. La spiegazione del fenomeno di cui parla Goldstein tiene presente e si basa su alcune leggi di” psicologia della folla” secondo cui chi si trova in un certo gruppo, in genere, é portato a comportarsi come gli altri membri anche quando non é del tutto convinto, il che significa che gli istinti sono contagiosi tanto più quanto più sono coinvolte le persone, quindi il gruppo tende a condizionare l’individuo fino a fargli perdere la sua identità.
Il clou per quanto concerno il fenomeno della violenza dello sport si è verificato senza dubbio nel mondo del calcio. Assistere a una partita di calcio oggi si è trasformato in molti casi spesso in una vera e propria occasione di violenza tra tifoserie avversarie, ma non solo.
Molti tifosi, specialmente giovani, se la prendono con i tifosi della formazione rivale, anche se totalmente innocenti e inconsapevoli, senza alcun tipo di colpa perché incapaci di accettare la sconfitta subita dalla propria squadra.
Una causa che può spingere questi tifosi che magari nella vita di tutti i giorni si comportano e mantengono comportamenti sempre civili e cordiali a fare e compiere simili azioni o gesti potrebbe essere, come citato per l’appunto sopra nella teoria di Goldstein, il fatto che trovandosi in mezzo al gruppo, la cosiddetta “massa” si tende a acquisire comportamenti negativi sentendosi protetti, quasi invincibili e giustificati dall’ampio numero di elementi che compongono il gruppo, uniformandosi a esso, diventandone succubi e “schiavi”ed emulandone gesti e fatti in tutto e per tutto perdendo completamente di vista la loro propria coscienza individuale . Questi tifosi che a me piace definire e etichettare come “pecore” o meglio “pecoroni” ormai risultano incapaci di riconoscere il vero senso del calcio,la vera passione che contraddistingue il vero tifoso e sostenitore. Talvolta questi individui si esprimono con striscioni e cori che offendono la tifoseria o propriamente la squadra avversaria. Questo è un altro dei motivi per cui tra i supporter ci sono tante risse che avvengono anche sugli spalti ormai diventati veri e propri ring da combattimento in alcune partite.
In questo sport, già inquinato dalle scommesse illegali e dal doping, il problema delle risse negli stadi forse era il passo più grande che si doveva evitare e scongiurare. Spesso appunto alla domenica si assiste a partite che finiscono con episodi di violenza, sia tra tifosi che tra i giocatori stessi con gli arbitri, dirigenti ecc. Questi atti non sono giusti, corretti, non sono consoni alla pratica sportiva e sono indiscutibilmente inappropriati e fuori luogo sia nei confronti dei giocatori oggetto di scherno, ma soprattutto di chi vuole guardare una partita allo stadio tranquillamente, per sostenere e fornire tifo e supporto ai propri beniamini. Inoltre, è anche un brutto esempio per i bambini, per le generazioni future in sè che guardano le loro “squadre del cuore” e per colpa di queste azioni negative diventa addirittura rischioso e pericoloso andare perfino in uno stadio.
Le cause della violenza negli stadi possono essere varie e molteplici: apparteniamo ad una società in cui i giovani non sono altro che lo specchio della violenza quotidiana; di calciatori che con falli e comportamenti scorretti nel campo inaspriscono gli animi dei tifosi; delle società sportive che concedono agevolazioni sui biglietti ai gruppi ultras. Fattore a mio avviso rilevante e da non trascurare se analizziamo gli incidenti avvenuti in occasione delle partite di calcio e finiti sulle pagine di cronaca, anziché su quelle sportive è il fatto che le aggressioni tra gli ultras si verificano, di solito, al di fuori degli stadi o in genere all’esterno degli impianti o strutture sportive. Viene da pensare, quindi, che gli ideatori di tali disordini, di tale caos non siano interessati ad assistere alla partita di calcio ma bensì abbiano in realtà altri scopi.
Un’altra causa che di sicuro fa scatenare risse e discussioni è il fatto che alcune persone scarichino le proprie frustrazioni e i propri problemi la domenica negli stadi tramite la propria squadra. Solitamente si crea una rissa che il più delle volte assume toni e proporzioni di notevole importanza, nella quale vengono coinvolte anche persone che volevano semplicemente assistere in modo pacifico alla partita, magari più semplicemente per passare una giornata all’aperto a contatto con lo sport o per passare una giornata diversa dalle altre insomma.
Altre cause psicologiche che influenzano tutto ciò possono essere l’invidia, l’ira, la sensazione di inferiorità e/o di superiorità, la ricerca di identità, l’effetto protagonistico, la ricerca di eccitazione o di bisogno di provare nuovi stimoli, semplice bisogno di sfogo. Il fenomeno sportivo deve essere visto come momento di gioia, di festa, di socializzazione, comunicazione, integrazione e comprensione verso gli altri.
Bisogna far capire e saper trasmettere che la vittoria non deve essere negata, ma si vince sul gioco e non sull’avversario. Educare alla vittoria e alla sconfitta significa rendersi conto del senso del limite e della precarietà di tali momenti e, quindi, imparare ad accettare con nobiltà e dignità di comportamento entrambi gli eventi. Non bisogna trascurare, infine, che lo sport deve essere privo di finalità utilitaristiche svincolandosi dalla mera logica della produzione e del consumo. In conclusione lo sport deve avere soprattutto e in particolar modo una grossa valenza educativa e formativa.
Riconosciuta la sua importanza ne consegue la necessità di svolgere dei percorsi educativi che devono esser svolti e promossi, in cooperazione tra le diverse strutture presenti nel territorio ( scuola, enti locali e associazioni sportive-ricreative) in quanto l’educazione sportiva risulta un momento di estrema importanza per la formazione e la crescita integrale delle nuove generazioni che si apprestano ad inserirsi nella società.
Mi sembra giusto e opportuno concludere questo articolo citando un pensiero di Donato Cattani, famoso psicologo clinico che in merito a questa spinosa questione afferma chiaramente: “Lo sport, così, quando scade in violenza perde la sua reale funzione (quella ludica e ricreativa) per cedere il posto agli interessi economici e alla violenza, tanto da aver ormai tradito la vera essenza di questa antichissima attività. Il termine sport, di “conio “ anglosassone, possiede antichissime radici che, anche nell’etimologia, stavano ad indicare quella particolare attività che veniva fatta senza fine, scopo. Lo sport significa dunque comprensione e tolleranza, vivere in armonia con tutto ciò che ci circonda, compresi gli altri ed il nostro corpo. Esso dovrebbe far affiorare quanto di meglio c’è in una persona, i suoi valori più autentici e reprimere gli orgogli, le iniziative violente e distruttive che fanno parte, purtroppo, del suo lato in ombra”.