Riforma costituzionale: gli strumenti di democrazia diretta

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La piattaforma degli oratori nella Pnice, collina di Atene sede dell'ecclesia, l'assemblea dei cittadini ateniesi. (fonte foto: junior.senat.fr)
(La piattaforma degli oratori nella Pnice, collina di Atene sede dell’ecclesia, l’assemblea dei cittadini ateniesi. Fonte foto: junior.senat.fr)

Estensione, da vero “cane da guardia del potere”, ha deciso di dedicare al referendum costituzionale che si terrà il prossimo 4 dicembre una particolare attenzione, consci dell’importanza storica dell’avvenimento e della necessità di una sensibilizzazione per un voto consapevole: durante i mesi che ci separano dal voto verrà pubblicata una serie di articoli che approfondirà i più importanti temi oggetto della revisione costituzionale. La quinta intervista di questo “percorso democratico” concerne le modifiche delle norme costituzionali riguardanti gli strumenti di democrazia diretta. Ne discutiamo con l’avvocato Giuseppe Bergonzini, professore di Diritto pubblico dell’Università di Padova.

1) Che cosa sono e quando sono stati introdotti gli strumenti di democrazia diretta?

Gli strumenti di democrazia diretta, come li intendiamo oggi, sono relativamente giovani: i primi esempi di referendum “moderni” che si ricordano risalgono alla fine del ‘700 (approvazione della Costituzione del Massachusetts, 1780; referendum costituzionali del 1793 e 1795 in Francia).

Nel nostro ordinamento costituzionale i principali strumenti di democrazia diretta sono l’iniziativa legislativa (di cui abbiamo già parlato nell’intervista 2), il diritto di petizione e i referendum; tra questi i più importanti sono quelli costituzionali (proprio quello di cui stiamo parlando!) e quelli abrogativi di leggi ordinarie o di atti aventi forza di legge (decreti legge, decreti legislativi). La riforma costituzionale prevede ora espressamente anche i referendum propositivi e d’indirizzo: strumenti potenzialmente interessanti, ma che richiedono di essere disciplinati da una legge costituzionale e da una successiva legge (bicamerale) di attuazione.

Secondo una nota definizione gli strumenti di democrazia diretta sono dei correttivi del sistema parlamentare: cosa significa? Noi, cittadini del XXI secolo, non possiamo (e, forse, nemmeno vogliamo) occuparci direttamente della cosa pubblica, e quindi dobbiamo delegare altri a farlo. Il voto ha proprio questo fine: scegliere chi decide per noi. Tuttavia la rappresentanza politica non è una rappresentanza giuridica in senso proprio perché non c’è un vincolo di mandato tra il rappresentato (noi elettori) e i rappresentanti (i parlamentari eletti); i parlamentari, una volta eletti, possono operare e deliberare come meglio credono, in piena conformità alla Costituzione (art. 67). Ad esempio, se un parlamentare legifera diversamente da come aveva promesso in sede elettorale, non esiste alcun tipo di sanzione giuridica che possiamo attivare nei suoi confronti;  esiste solamente una sanzione politica (non lo si vota più). Il cittadino-elettore, quindi, di regola si limita a scegliere chi partecipa ai lavori parlamentari, e poi fa da spettatore. Se il gioco democratico funziona, dovrebbe essere in grado di farsi un’idea sul rappresentante votato, e di esprimere il proprio giudizio politico alle successive elezioni; ma non ha alcuna capacità di influire direttamente sulle scelte politiche.

I meccanismi di democrazia diretta, invece, sono concepiti proprio per incidere direttamente sulle scelte politiche, in modo più o meno immediato (ecco perché sono dei correttivi alla regola generale).

Costantino Mortati, durante la discussione in Assemblea costituente sull’articolo della Costituzione riguardante il referendum abrogativo, affermava:
«la constatazione di uno scarto fra partiti e opinione pubblica viene a giustificare ancora di più l’adozione di questo istituto, perché questo contrasto fra rappresentanti e rappresentati può significare o una deficienza dei primi o una deficienza dei secondi. O sono i primi che interpretano male la volontà popolare e i bisogni reali del popolo, e allora è giusto che la loro attività sia arrestata dal popolo; o è il popolo che è scarsamente educato, e allora è ai partiti che si deve imputare tale situazione, ed il rimedio non può essere quello di escludere il popolo, bensì di eccitare il suo spirito politico, la sua sensibilità ai problemi politici, la sua capacità di intendere gli interessi generali».

Il nocciolo della questione è questo: qual è il giusto equilibrio tra sistema parlamentare e strumenti di democrazia diretta? Qual è il ragionevole compromesso tra la democrazia rappresentativa e la possibilità di scelta (diretta) dei cittadini, soprattutto nei casi in cui il voto riguardi temi altamente tecnici?

2) Quali sono le principali novità apportate dalla riforma costituzionale in questo ambito?

Per quanto riguarda il referendum abrogativo, i richiedenti sono gli stessi (500 mila elettori o 5 consigli regionali), l’oggetto è lo stesso (legge o atto avente forza di legge), le materie espressamente escluse rimangono le medesime (leggi tributarie e di bilancio, leggi di amnistia e indulto, leggi di autorizzazione a ratificare i trattati internazionali).

Le modifiche costituzionali riguardano esclusivamente l’introduzione di una proposta referendaria qualificata dalla sottoscrizione di 800 mila firme (invece di 500 mila): in questo caso, il referendum godrebbe del privilegio dell’abbassamento del cosiddetto “quorum”. Perché il referendum sia valido, di norma è necessario che partecipi al voto la maggioranza degli aventi diritto (cosa che in Italia, come sappiamo, spesso non accade, grazie al facile gioco del “partito dell’astensione”). La riforma costituzionale prevede, invece, che qualora una proposta referendaria sia stata avanzata da 800 mila elettori, il referendum è valido se ha partecipato al voto la maggioranza dei votanti alle ultime elezioni della Camera dei deputati. Quindi nell’ipotesi in cui – ad esempio – alle elezioni politiche precedenti al referendum abbia partecipato il 60% degli aventi diritto, per la validità del referendum sarà sufficiente che voti più del 30%.

Direi, un colpo al cerchio e uno alla botte: si abbassa il quorum, e contemporaneamente si innalza il numero di firme richieste per la proposta; per chi ha simpatia per gli strumenti di democrazia diretta, gioie e dolori. E’ chiara la volontà di trovare un compromesso tra l’esigenza di garantire un più efficace utilizzo del referendum e quella di rendere meno agevole l’accesso al suo utilizzo.

Nella prospettiva “educativa” evidenziata da Mortati, la soluzione migliore sarebbe probabilmente quella di eliminare del tutto il quorum partecipativo. D’altra parte, il quorum già non è previsto per il referendum costituzionale (e per una ragione precisa: il referendum costituzionale è stato concepito come meccanismo di ulteriore irrigidimento della Costituzione, come meccanismo oppositivo alla riforma). Il 4 dicembre tutti, in qualche modo, saremo responsabilizzati. Sappiamo che se non andremo a votare subiremo la decisione altrui.  Perché non ragionare nello stesso modo con riferimento al referendum abrogativo? Perché non favorire in modo più netto e deciso una “correzione democraticadel sistema parlamentare? I temi sottoposti a referendum sono, è vero, quasi sempre molto articolati e complessi, tanto da rendere assai difficile per la cittadinanza esprimere un voto davvero consapevole. Ma dovremmo, solo per questo, rinunciare ad “eccitare il suo spirito politico, la sua sensibilità ai problemi politici, la sua capacità di intendere gli interessi generali”?

3) Vi sono elementi tra quelli analizzati su cui la propaganda politica potrebbe “spingere” particolarmente (per il sì o per il no)?

Anche qui, mi pare vi sia meno spazio per la propaganda rispetto ad altri ambiti considerati più delicati (il rapporto tra legge elettorale e riforma costituzionale, la fine del bicameralismo perfetto, le funzioni del nuovo Senato). Il dirà che con la riforma si rivitalizzano gli istituti di democrazia diretta. Il no dirà che è un contentino, che 800 mila firme sono troppe, che si finge di potenziare il referendum mentre invece si rende molto più difficile utilizzarlo a causa dello sbarramento maggiore all’accesso.

INTERVISTA 4: PDR E CORTE COSTITUZIONALE