
Tra Parlamento e Unindustria: continua il ping pong del caso OMVL di Pernumia. Sono 83 i dipendenti della sede di via Rivella che rischiano il posto a causa della fusione aziendale tra la multinazionale canadese Westport e l’azienda californiana Fuel Systems Solutions.
Nonostante il caso fosse approdato a Roma per mano del senatore Udc Antonio De Poli a inizio dicembre, e poi ripresentato nei giorni scorsi nella sede dell’Unindustria a Brescia nell’incontro tra le rappresentanze sindacali e il coordinamento delle tre aziende del gruppo Westport, il destino dell’azienda e dei lavoratori della OMVL rimane avvolto in un alone di mistero. Unica certezza è la tempistica della fusione che coinvolgerà a presa diretta la sede di Pernumia: a inizio 2016 le multinazionali americane dovrebbero chiudere le trattative e siglare l’accordo. Incerti le sorti dello stabilimento padovano specializzato nella produzione di riduttori per sistemi di alimentazione a gas di veicoli, e delle sue maestranze, per buona parte composte da donne.
«Il piano industriale dell’operazione è ancora sconosciuto – spiega la deputata del Partito Democratico Giulia Narduolo – ma la produzione della sede di Pernumia potrebbe essere concentrata nello stabilimento piemontese dell’azienda americana. Ancora una volta un segmento importante del tessuto produttivo della Bassa Padovana rischia di essere abbandonato con una ricaduta sociale molto grave per la zona e per l’economia della provincia».
Dubbi e incertezze sul futuro dell’azienda sono stati presentati dalla parlamentare padovana al Ministro dello Sviluppo economico: «Abbiamo chiesto l’intervento del Governo per convocare al più presto un tavolo di concertazione che chiarisca i contorni della vicenda e per tutelare i lavoratori di Pernumia. L’intera comunità locale ha espresso forte preoccupazione per le sorti dello stabilimento che occupa molte donne e che ha un indotto importante. Occorre preservare il sito produttivo e immaginare una politica industriale in grado di promuovere i nostri territori: la Bassa Padovana troppo spesso è stata oggetto di operazioni che non tengono conto della ricaduta sociale ed economica da parte delle multinazionali».