
Siamo oggi al sesto giorno di protesta ad Hong Kong di ‘Occupy Central‘, definito dai media ‘Umbrella Revolution‘ per l’uso da parte dei protestanti di ombrelli per proteggersi dai fumogeni e lacrimogeni usati dalla polizia per disperdere la folla.
Qual è stata la causa scatenante?
La scintilla che ha fatto scattare l’organizzazione della protesta è stata l’esplicita intromissione del governo di Pechino sulla scelta dei candidati delle elezioni del 2017 che si terranno ad Hong Kong. Hong Kong una regione della Cina che ha un’autonomia amministrativa speciale, dovuta al suo passato coloniale che l’ha vista sotto l’egidia del governo britannico fino al 1997. Questo gli ha permesso di conservare le proprie leggi basate sul Common Low inglese ed una gestione indipendente dal Partito Comunista Cinese. Con ciò si spiega l’entità della protesta: l‘intervento del governo cinese rappresenta per gli abitanti di Hong Kong una deliberata violazione del proprio status di autonomia ed il rifiuto delle richieste di dimissioni del governatore Leung Chun-ying, che non si vuole opporre alle direttive di Pechino, ha ulteriormente alimentato le manifestazioni di dissenso studentesche.

Come ha reagito il governo cinese?
Sul fronte interno per ora il governo cinese si limita a contenere la protesta, nella speranza che diminuisca la partecipazione e l’attenzione generale nei confronti del movimento. Sebbene i componenti di Occupy Central siano principalmente studenti, ed inizialmente si trattasse di numeri esigui, il movimento si sta espandendo e raccoglie i consensi di gran parte della popolazione di Honk Kong. Questo attegiamento è l’eredità storica di una regione che ha subito fortemente l’inflenza occidentale, sia a livello culturale che economico, ed è stata per molto tempo luogo d’asilo per i cinesi dissidenti in fuga dal continente. Per ora non ci sono scontri faccia a faccia tra manifestanti e polizia, anche se c’è la minaccia incombente da parte di Occupy Central di irrompere nei palazzi governativi; in questo caso sembra difficile che la polizia si limiti a stare a guardare.
Sul fronte esterno il governo di Pechino ha esplicitamente imposto agli Usa e all’Europa di non intervenire in alcun modo nella protesta. Il movimento è esplicitamente filo-occidentale, pro-democrazia ed ha strette relazioni con il resto del mondo. Se da una parte ciò permette una visibilità mondiale della protesta difficilmente insabbiabile da Pechino, dall’altro condiziona pesantemente l’economia di Hong Kong, che sta crollando in borsa a causa dell’instabilità politica.
Nel ‘Corriere della Sera’ Guido Santevecchi paragona la protesta dei cittadini di Hong Kong alla ‘Comune’ di Parigi del 1871, movimento popolare di stampo socialista che prese le redini della città francese. Nonostante il carattere occidentale e forse un pò nostalgico di questo paragone esiste una possibile similitudine per quanto riguarda lo spirito riformista che coinvolge una comunità urbana (o meglio metropolitana), riproponendo come valori la partecipazione e la condivisione della quotidianità in un contesto come può essere quello di Hong Kong, ovvero di metropoli individualista e frenetica, assorbita dal perseguimento del profitto e dell’interesse privato. Non è auspicabile una conclusione simile all’esperienza francese, liquidata con la città di Parigi presa per fame e i rivoluzionari trucidati, anche se l’esperienza di piazza Tienanmen ricorda che il governo cinese ha già avuto modo di schierare l’esercito per sedare il dissenso. Ciò che ci si aspetta è l’inizio di una stagione riformista in un paese come la Cina che vanta una popolazione di un miliardo e 300mila abitanti, in gran parte limitata per quanto riguarda i diritti fondamentali dell’individuo. Hong Kong, grazie ai giovani che animano la protesta, ha davvero l’opportunità di essere il luogo d’incontro tra Oriente ed Occidente, non solo in ambito economico ma soprattutto sul tema dei diritti civili e politici.
Edoardo Dalla Mutta