Nuovo Senato e Italicum: verso la governabilità?

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Estensione, da vero “cane da guardia del potere”, ha deciso di dedicare al referendum costituzionale che si terrà in autunno una particolare attenzione, consapevole dell’importanza storica dell’avvenimento e della necessità di una sensibilizzazione per un voto consapevole: durante i mesi che ci separano dal voto verrà pubblicata una serie di articoli che approfondirà i più importanti temi oggetto della revisione costituzionale. La prima intervista di questo “percorso democratico” riguarda la nuova legge elettorale (l’Italicum) e la parte della riforma costituzionale che trasforma il nostro sistema parlamentare. Ne discutiamo con l’avvocato Giuseppe Bergonzini, dottore di ricerca in Diritto costituzionale presso la Scuola di Giurisprudenza dell’Università di Padova.

1) Che cosa prevede l’art. 1 della riforma, che modifica l’art. 55 della Costituzione, eliminando il c.d. bicameralismo perfetto?

«In base al nuovo art. 55 Cost. si supera il principio del bicameralismo perfetto e quindi si differenziano le funzioni del Senato rispetto a quelle della Camera dei Deputati; mentre in precedenza entrambe le camere erano titolari del rapporto di fiducia con il Governo (se manca la fiducia in una delle due Camere, il Governo in carica cade) ed esercitavano ugualmente il potere legislativo, con la riforma il rapporto di fiducia e il potere legislativo generale sono prerogative della sola Camera dei Deputati (il Senato ha un potere legislativo limitato – per maggiori informazioni vedi intervista 2). Quest’ultimo dovrebbe diventare una Camera di rappresentazione, o almeno questo è l’auspicio, delle istituzioni territoriali».

2) Chi farà parte del nuovo Senato?

«La composizione del nuovo Senato è uno degli aspetti più critici e criticati della riforma. Il testo del nuovo articolo 57 Cost. è il frutto di un po’ di pasticci fatti in sede di approvazione. Il nuovo Senato sarà composto da 100 senatori, di cui 95 ad elezione indiretta (vedi domanda successiva) e 5 a scelta diretta del Presidente della Repubblica. I primi si divideranno a loro volta in 74 senatori-consiglieri regionali e in 21 senatori-sindaci».

3) Da chi e come saranno eletti i nuovi senatori?

«A parte i 5 senatori scelti dal Presidente della Repubblica, che non saranno più senatori «a vita» – la loro carica infatti, con la riforma, durerà 7 anni – la questione più importante è quella che riguarda la nomina dei 95 senatori “rappresentativi delle istituzioni territoriali”. Noi non voteremo più questi senatori, poiché sono scelti dai Consigli regionali e dai Consigli delle Province autonome di Trento e Bolzano (avendo, queste ultime, uno statuto costituzionale speciale – vedi intervista 6), con metodo proporzionale, tra i propri componenti: quindi ciascun consiglio regionale sceglie, all’interno dei suoi componenti, un certo numero di persone che saranno senatori; poi viene scelto, nella misura di uno per ciascun Consiglio regionale, un componente che sarà senatore tra i sindaci dei Comuni dei rispettivi territori. I sindaci-senatori saranno dunque 21 su circa 8.000 Comuni: questa è la rappresentanza dei sindaci nel nuovo Senato! Trento e Bolzano avranno due senatori ciascuno: uno sarà un consigliere provinciale, e l’altro un sindaco. Le altre regioni dovrebbero esprimere tra i sei e gli otto senatori (dipende comunque dalla popolazione della regione), di cui un sindaco e tutti gli altri consiglieri regionali. Le modalità di elezione e di sostituzione (in caso di cessazione della carica elettiva regionale o comunale) dei nuovi senatori si stabiliranno con una legge approvata da entrambe le Camere» (una legge “bicamerale”: vedi intervista 2).

4) In base a che cosa vengono scelti i sindaci-senatori?

«Probabilmente con gli stessi criteri in base ai quali verranno scelti gli altri senatori-consiglieri. Presumo per ragioni di appartenenza politica. Pensiamo, ad esempio, ai due senatori eletti dalla Provincia di Bolzano o dalla Provincia di Trento: chi nomineranno? Probabilmente entrambi i senatori saranno candidati provenienti dalla maggioranza: uno già facente parte del Consiglio provinciale e uno che è un sindaco “vicino” per appartenenza politica. Un Consiglio regionale di una Regione più ampia chi nominerà? Sarà così equilibrato da nominare anche uno o più membri delle minoranze? Può darsi: è tutto da vedere».

5) Come avviene la sostituzione dei senatori e che effetto potrebbe portare il “ricambio continuo” dei senatori che decadono dalla loro carica a livello regionale/comunale? Non mancherà coesione politica a causa di questa nuova composizione?

«Il principio generale è quello secondo cui la durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti. Dunque quando il Consiglio regionale (ad es., del Veneto) termina la sua legislatura, decadono automaticamente anche i senatori-consiglieri eletti in seno a quel Consiglio. I senatori-sindaci dovrebbero venir meno, invece, alla cessazione della loro carica locale. Per ogni valutazione più approfondita è necessario attendere, comunque, l’attuazione legislativa di queste nuove previsioni costituzionali. Uno scenario possibile, quale conseguenza del “ricambio continuo” dei senatori, potrebbe essere questo: il Senato verrà rinnovato più o meno parzialmente in momenti distinti rispetto alle elezioni politiche, con le quali si eleggerà solo la Camera dei Deputati. Non saremo in grado di prevedere esattamente che tipo di “colore politico” avrà il Senato: di fatto potrà succedere che a seconda di come andranno le elezioni regionali cambierà la composizione (e il colore politico) del Senato. Ci saranno dunque, nel Senato, delle “maggioranze fluttuanti” che rispecchieranno, presumibilmente, la composizione politica dei consigli regionali e l’andamento di eventuali elezioni regionali in corso di legislatura. Non è un problema di per sé decisivo, se non per il fatto che ci sono alcune funzioni bicamerali importanti (vedi intervista 2) che permangono. In ogni caso, alla domanda “può succedere che al Senato ci sia una maggioranza politica diversa da quella alla Camera?”, si può senz’altro rispondere “”: è implicito in un sistema di questo tipo. Vi potrebbe essere un effetto benefico se il Senato riuscisse davvero a svolgere un ruolo di coordinamento con le istituzioni territoriali che arricchisse il discorso politico; ciò presuppone, tuttavia, che il nuovo Senato sia concretamente in grado di adempiere al suo nuovo ruolo…».

6) Non vi potrebbero essere criticità a causa del “doppio incarico” di questi nuovi senatori? Non c’è il rischio di «far male» in entrambe le funzioni?

«Il rischio esiste, anche se non sono sicuro dipenda solo dalle nuove regole costituzionali: dipende, in primo luogo, dalle persone. Non si può dire che, solo per il fatto di avere un doppio incarico, automaticamente Tizio farà male il senatore. Non è detto: magari riuscirà comunque a svolgere in modo “onorevole” sia il lavoro di consigliere regionale (o di sindaco) che quello di senatore. Certo, qualche perplessità rimane, perché fare tutto e bene non è cosa da tutti. Il vero rischio è che il Senato subisca un ulteriore depotenziamento a causa del fatto che non è composto di personale politico ad hoc ma, per così dire, “a doppio servizio”».

7) Si punta al risparmio dei costi tagliando il numero dei parlamentari: non si è tenuto conto dei costi in generale dei nuovi senatori, considerando soprattutto le spese legate a questo doppio incarico?

«Non è previsto che i senatori percepiscano l’indennità. Non so quale sarà il regime delle altre attribuzioni economiche (che non siano indennità) che percepiscono i parlamentari (diarie, spese di viaggio, rimborsi spese). Presumo che queste ultime saranno comunque conferite anche ai senatori. È vero che si taglia il numero dei parlamentari, ma il taglio avrebbe potuto essere ben superiore ad altre condizioni: abbiamo comunque (ancora) 630 deputati, un numero abnorme. Il problema dei costi della politica, poi, non è solo il problema dei parlamentari: il costo degli apparati amministrativi di supporto del Parlamento rimane, e costituisce una voce di grande rilievo. Certo, qualcosa è meglio di niente; ma gridare al miracolo, sotto il profilo dei costi, sembra francamente eccessivo».

8) Il Senato così composto rappresenterà davvero le istituzioni territoriali, esercitando le funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica?

«Quella prospettata dalla riforma è una rappresentazione (c’è una rappresentazione) delle istituzioni territoriali, ma a investitura regionale, per cui è il Consiglio regionale che ha l’ultima parola su quale sia il rappresentante delle istituzioni territoriali gradito, che va a fare il senatore».

9) I costituzionalisti del “no” hanno affermato che «si è configurato un Senato estremamente indebolito, privo delle funzioni essenziali per realizzare un vero regionalismo cooperativo: esso non avrebbe infatti poteri effettivi nell’approvazione di molte delle leggi più rilevanti per l’assetto regionalistico, né funzioni che ne facciano un valido strumento di concertazione fra Stato e Regioni. In esso non si esprimerebbero le Regioni in quanto tali, ma rappresentanze locali inevitabilmente articolate in base ad appartenenze politico-partitiche». È una preoccupazione condivisibile?

«Dipende, forse si potrebbe essere un po’ più prudenti: le norme dicono qualcosa ma non dicono tutto; la verità è che non possiamo sapere, oggi, come funzionerà davvero questo nuovo Senato. Potrebbe essere eccessivo dare un giudizio del tutto negativo adesso: magari lo daremo tra qualche anno, quando avremo verificato come funziona effettivamente. Rimane il fatto, comunque, che la composizione appare poco riuscita, la rappresentazione degli interessi locali è parziale, e i poteri legislativi con riferimento alle regioni sono piuttosto limitati. Il che non induce a particolare ottimismo…».

10) Sempre i costituzionalisti contrari alla riforma sostengono il mancato riequilibrio dal punto di vista numerico del nuovo Parlamento in seduta comune, che è chiamato ad eleggere organi di garanzia come il Presidente della Repubblica, così che queste delicate scelte rischierebbero di ricadere anch’esse nella sfera di influenza dominante del Governo, specie se il sistema di elezione della Camera (come l’Italicum) fosse improntato a un forte effetto maggioritario. La combinazione nuova composizione del Senato & Italicum può rivelarsi esiziale per le garanzie democratiche del nostro ordinamento?

«Il meccanismo è criticabile (eccessivo squilibrio del numero di deputati rispetto al numero dei senatori – 630 contro 100) ma non mi pare ci sia attualmente un rischio per la tenuta del sistema democratico: la maggioranza garantita dalla nuova legge elettorale (55%, corrispondente a 340 seggi) non è sufficiente a raggiungere le maggioranze (necessarie per l’elezione del presidente della Repubblica – vedi intervista 4) dei due terzi e quella dei tre quinti del Parlamento in seduta comune (rispettivamente 487 e 438)».

11) Cosa prevede la nuova legge elettorale? In che cosa consiste il premio di maggioranza?

«È una legge elettorale proporzionale con una serie di correttivi, il principale dei quali è quello del premio di maggioranza. C’è una soglia di sbarramento del 3% per le liste (e non per le coalizioni). La lista che ottiene almeno il 40% dei voti prende 340 seggi alla Camera dei deputati (quindi ha un premio di maggioranza del 55%). A differenza della vecchia legge elettorale (il “Porcellum”) non basta raggiungere qualunque maggioranza per avere il premio ma bisogna raggiungere almeno il 40%. Se nessuna lista raggiunge il 40% all’esito delle votazioni si fa un ballottaggio tra le due che hanno raggiunto le percentuali maggiori e chi vince “prende tutto” (cioè i 340 seggi). Il premio di maggioranza serve a sovra-rappresentare in Parlamento le forze politiche, per cui serve a trovare un vincitore anche quando il vincitore (assoluto) non c’è. Ci sono un po’ di particolarità sulla formazione delle liste, in questa nuova legge elettorale, perché sono previsti un capolista bloccato e la possibilità di dare due preferenze; quindi c’è un mix tra voto bloccato e voto di preferenza, nel tentativo di rispettare la sentenza n. 1 del 2014 della Corte costituzionale (che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale del “Porcellum” anche nella parte in cui prevedeva liste lunghe interamente bloccate)».

12) Il bilanciamento di interessi tra governabilità e proporzionalità è dunque appropriato con la nuova legge elettorale?

«Questa è una domanda da 100 milioni di dollari! Quello che si può dire è questo: nessun sistema elettorale è perfetto; il sistema elettorale più democratico in assoluto è il sistema proporzionale puro (tanti voti, tanti seggi in proporzione); ma il sistema proporzionale puro in paesi ad elevata frammentazione politica (come il nostro!) obbliga, a seguito dell’esito delle elezioni, a coalizioni, a trovare la somma di percentuali sufficienti a governare. Qual è l’obiettivo che consideriamo prioritario: la governabilità (a costo di una sovra-rappresentazione del reale peso politico della lista che risulterebbe vincitrice), o la più fedele rappresentazione degli esiti elettorali ed il maggiore equilibrio tra le forze politiche che compongono il Parlamento (a costo di una minore certezza di governo?). Nell’Italicum la scelta è chiara: la governabilità, un mantra che ormai da tempo si somministra all’opinione pubblica».

13) Vi sono elementi tra quelli analizzati su cui la propaganda politica potrebbe “spingere” particolarmente (per il sì o per il no)?

«Il “” spingerà sulla riduzione del numero dei parlamentari, la riduzione dei costi, il superamento del bicameralismo perfetto, la maggiore efficienza nel procedimento legislativo. Il “no”, invece, denuncerà la composizione del Senato, l’imperfetta rappresentazione delle istituzioni territoriali, la mancanza di veri poteri e quindi di utilità del Senato e la nuova legge elettorale che potrebbe generare derive “antidemocratiche”».

14) Quali sono gli effetti concreti di queste misure sul singolo cittadino?

«Ho l’impressione (e questo vale, forse, per tutti gli argomenti che affronteremo nel corso di queste interviste) che le ricadute concrete per noi cittadini siano modeste: non sono questi i veri problemi. La conseguenza concreta più immediata per il cittadino medio è questa: non si vota più per il Senato! Che, poi, le leggi le voti in linea di principio solo la Camera, e che solo questa esprima il rapporto di fiducia è cosa che, in fondo, interessa relativamente… Paradossalmente, la riforma costituzionale dalle conseguenze concrete più significative è quella dell’art. 81 Cost. (in materia di entrate e di spesa), apportata dalla legge costituzionale n. 1 del 2012. Una riforma realizzata in tempi brevissimi e senza che noi cittadini si sia potuto dir nulla: proprio perché approvata a larghissima maggioranza, in conformità all’art. 138 Cost (che regola il procedimento di revisione costituzionale). D’altra parte, ormai da molto tempo non è più il Parlamento il vero luogo in cui si decidono le grandi linee della politica di entrata e di spesa: quelle che contano di più…».