Nuovo iter legislativo: bicameralismo perfetto addio!

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Estensione, da vero “cane da guardia del potere”, ha deciso di dedicare al referendum costituzionale che si terrà in autunno una particolare attenzione, consci dell’importanza storica dell’avvenimento e della necessità di una sensibilizzazione per un voto consapevole: durante i mesi che ci separano dal voto verrà pubblicata una serie di articoli che approfondirà i più importanti temi oggetto della revisione costituzionale. La seconda intervista di questo “percorso democratico” concerne la fine del bicameralismo perfetto e il nuovo iter legislativo. Ne discutiamo con l’avvocato Giuseppe Bergonzini, professore di Diritto pubblico dell’Università di Padova.

1) Com’è nato il bicameralismo perfetto in seno alla Costituente e sulla base di quali criteri fu scelto? Le necessità del tempo sono ancora attuali? Il bicameralismo perfetto è sinonimo di democrazia?

«In partenza l’idea era quella di immaginare un sistema a bicameralismo imperfetto (due Camere con funzioni diverse), idea che era già emersa all’interno della Commissione dei 75 (la commissione composta da 75 membri scelti fra i componenti dell’Assemblea Costituente, incaricata di elaborare e proporre il progetto di Costituzione repubblicana) e, in particolare, in sede di Seconda Sottocommissione (dedicata all’organizzazione costituzionale dello Stato). Erano emerse due linee principali: la prima, sostenuta da Costantino Mortati, in base alla quale la seconda camera avrebbe dovuto essere una camera di rappresentanza degli interessi professionali e del mondo produttivo; l’altra riteneva che la seconda camera potesse essere il luogo giusto per superare il centralismo statale e dare voce alle Regioni ed alle istanze del decentramento (Giovanni Conti). La Commissione dei 75 ha liquidato un progetto di Costituzione il cui art. 55 era formulato così: “I Senatori sono eletti per un terzo dai membri del Consiglio regionale e per due terzi a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età”. Quindi si era concepita una rappresentanza mista attuata mediante elezioni dirette (per due terzi) e indirette (per un terzo). Questo progetto è approdato in assemblea plenaria e qui si è creata una netta contrapposizione – soprattutto – tra la componente democristiana e quella social-comunista: la prima era favorevole a due camere, e propendeva per l’idea di una seconda camera ad ispirazione regionalistica e rappresentativa degli interessi economici; la seconda, invece, era sfavorevole al bicameralismo e alla rappresentanza di interessi particolari nel Parlamento (cioè voleva una camera sola, la Camera dei deputati, immediatamente rappresentativa dell’intero corpo elettorale). Da questa antitesi netta si è giunti ad un compromesso, cioè quello di dar luogo ad un Parlamento con due camere (bicameralismo) con le stesse funzioni (perfetto) ed ugualmente rappresentative di tutto il corpo elettorale. È uscito un sistema bicamerale perfetto che, quindi, non sembra avere una precisa giustificazione giuridica; è semplicemente frutto di un compromesso politico, la soluzione ad un contrasto forte manifestatosi in Assemblea costituente sulle diverse concezioni della rappresentanza.

Io direi che non si possa parlare di “necessità del tempo”: non fu una decisione necessaria (se non, potremmo dire, politicamente necessaria per trovare un accordo), ma una decisione che costituiva la sintesi di posizioni opposte sul funzionamento del Parlamento. Questa impostazione del sistema rappresentativo non ha impedito, comunque, all’Italia di godere di un decisivo periodo di sviluppo nel secondo dopoguerra. Oggi, naturalmente, è possibile ragionare sulla opportunità di un’evoluzione del sistema parlamentare, non essendovi più quella contrapposizione ideologica che ha portato ad un modello ibrido; infatti, sulla prospettiva del superamento del bicameralismo perfetto c’è una condivisione largamente maggioritaria.

Infine, il bicameralismo perfetto non è sinonimo di democrazia. Anzi: il bicameralismo imperfetto caratterizza l’ordinamento democratico per eccellenza (quello inglese: le vicende recenti, a parer mio, dimostrano che è ancora così); il bicameralismo nasce in Inghilterra nel XIV secolo, quando i rappresentanti dei Borghi e delle Contee iniziano a riunirsi separatamente dai nobili: la seconda camera inglese (Camera dei Comuni) sorge quindi come camera rappresentativa  di interessi diversi. Anche in Europa, le seconde camere si sviluppano come istanze rappresentative della borghesia (prima) e delle classi popolari (poi), consentendo di bilanciare i poteri delle camere preesistenti. Molti ordinamenti contemporanei, senz’altro democratici, sono a bicameralismo imperfetto, quindi è assai difficile identificare il bicameralismo perfetto con la democrazia. Il bicameralismo imperfetto c’è sia in sistemi federali (Germania, Austria, Belgio, Canada, Australia) che in sistemi non federali (Francia, Regno Unito, Irlanda, Polonia, Spagna e Giappone). L’Italia è, praticamente, l’unico ordinamento democratico non federale a bicameralismo perfetto.

 

2) Su quale ripartizione si fonda il nuovo procedimento legislativo definito dall’art. 70 Cost.? Quali sono dunque le leggi per le quali è mantenuto il procedimento legislativo paritario? e quelle approvate esclusivamente dalla Camera dei deputati?

«Il nuovo procedimento legislativo si fonda su questa ripartizione: a) il procedimento bicamerale (caratterizzato da un ruolo paritario delle due Camere, come nel sistema attualmente vigente); b) il procedimento cosiddetto monocamerale partecipato (l’approvazione spetta alla sola Camera dei deputati, ferma restando la possibilità di un intervento del Senato nel corso dell’iter legislativo: il Senato può deliberare proposte di modificazione, sulle quali, però, la Camera si pronuncia in via definitiva), il quale presenta molteplici varianti riguardanti le modalità di intervento del Senato. Il primo tipo di procedimento (a) è previsto per tutte quelle leggi che sono espressamente individuate nel primo comma dell’art. 70, leggi considerate di particolare rilevanza (in primis, le leggi costituzionali e di revisione costituzionale). Il secondo tipo di procedimento (b) si applica invece alla restante generalità dei disegni di legge.
Le leggi bicamerali elencate nell’art. 70 sono piuttosto numerose: non sono pochi, dunque, gli ambiti su cui sia la Camera dei deputati sia il Senato devono legiferare insieme (il che, come abbiamo visto nella prima intervista, potrebbe generare tensioni politiche tra le due camere a causa della nuova composizione “fluttuante” del Senato). Tutto il resto dovrebbe spettare solo alla Camera, salvo diverse modalità di possibile intromissione nel procedimento legislativo da parte del Senato; chi si è soffermato sull’argomento, ha rilevato che in realtà i procedimenti legislativi sarebbero 8: una netta complicazione delle regole sulla formazione delle leggi, che per alcuni sarebbe fisiologica in un sistema a bicameralismo imperfetto, dove bisogna distinguere gli ambiti di rispettiva competenza delle due camere. Comunque sia, il nuovo procedimento legislativo non brilla certo per semplicità e chiarezza».

 

3) In  base a quali criteri il Senato formula “proposte di modificazione” del testo di legge di competenza esclusiva della Camera dei deputati (quindi nell’ambito del procedimento monocamerale)?

«Mi auguro che il Senato sappia formulare proposte di modificazione che tengano conto delle istanze delle istituzioni territoriali in esso rappresentate, riuscendo davvero a far emergere l’utilità di un secondo Senato differenziato come “camera di raffreddamento”. In teoria, si potrebbe persino immaginare una specie di ostruzionismo del Senato: la proposta di numerose modificazioni ad un testo di legge monocamerale, che costringerebbe la Camera a pronunciarsi nuovamente in via definitiva. In una prospettiva ottimistica, si può sperare che Camera e Senato mantengano una relazione collaborativa (il Senato partecipa correttamente alla formazione delle leggi bicamerali, la Camera rimane disponibile ad accogliere le proposte di modificazione avanzate dal Senato sulle leggi monocamerali). Tutto dipende da che tipo di rapporti si instaureranno tra la Camera e il nuovo Senato, e da quale ruolo il Senato riuscirà ad assumere; ruolo che non sembra essere definito dalle nuove norme costituzionali in modo del tutto chiaro ed univoco».

 

4) Premesso che, dopo una breve ricerca, abbiamo constatato che il problema del nostro organo legislativo non sta nella quantità di atti emanati (numerosi) ma, come si evidenzia da più parti, nella qualità degli stessi (la navetta comprometterebbe l’equilibrio generale di un disegno di legge) ci si domanda: questa riforma, che palesa un non ben identificato numero di procedimenti legislativi, può garantire questa agognata efficacia dal punto di vista qualitativo?

«È assolutamente ovvio che nel nostro ordinamento il problema non consista nella quantità delle leggi, anzi: ce ne sono anche troppe. Tra l’altro, se il problema non è la quantità, difficilmente può esserlo la pretesa lentezza del procedimento legislativo. Il problema vero è capire se il superamento del bicameralismo perfetto (e quindi della duplicazione del procedimento di approvazione) possa apportare o meno dei benefici alla qualità di redazione del testo. Il fatto che ci sia una seconda camera con gli stessi poteri della prima può indurre, in effetti, tutta una serie di meccanismi di contrattazione-compromesso che possono alterare la “qualità” del testo originale elaborato in riferimento ad una certa materia. È pur vero che nel nostro ordinamento ci sono stati esempi di buona legislazione: quindi il problema della qualità della legislazione non sta tanto nel bicameralismo (perfetto o meno), ma in qualcos’altro. Ciò, tuttavia, non impedisce di riflettere sulla possibilità che un procedimento legislativo accentrato in un solo soggetto possa raggiungere risultati migliori, qualitativamente parlando. Ma questa è solo un’ipotesi, non c’è alcuna garanzia. Se la domanda è “può la riforma costituzionale finalmente garantire una buona legislazione?”, la risposta è, inevitabilmente, “no”: c’è solo una speranza».

 

5) Come cambia, invece, l’art. 71 Cost., relativo all’iniziativa legislativa?

«È stata introdotta una nuova previsione costituzionale all’articolo 71 della Costituzione con cui si prevede la facoltà per il Senato di richiedere alla Camera dei deputati di procedere all’esame di un disegno di legge. In tal caso, la Camera dei deputati è tenuta ad esaminare il disegno di legge e a pronunciarsi entro il termine di sei mesi dalla data della deliberazione del Senato; si tratta, quindi, di un procedimento che ha un esito temporale delimitato già a livello costituzionale.

La disciplina dell’iniziativa legislativa popolare è stata modificata, poi, con l’obiettivo di garantire tempi certi per l’esame delle relative proposte di legge (per evitare il c.d. insabbiamento delle iniziative popolari), elevando al contempo il numero di firme necessarie per la relativa presentazione (da 50 mila a 150 mila). Tuttavia, nella Costituzione c’è solamente un rinvio a norme che vanno stabilite dai regolamenti parlamentari, per cui questa disposizione costituzionale richiede una necessaria attuazione a livello di regolamento parlamentare. Domanda: che cosa succede se i regolamenti parlamentari non attuano la disposizione costituzionale, o la attuano in modo inadeguato? Quali sono gli strumenti a tutela della garanzia dell’esame delle proposte di legge di iniziativa popolare? È ipotizzabile un conflitto di attribuzione (strumento con cui un potere dello Stato può agire davanti alla Corte costituzionale per difendere le proprie attribuzioni costituzionali messe in discussione dal comportamento di un altro potere dello Stato, ndr)?

Vengono, infine, introdotti nell’ordinamento due nuovi tipi di referendum: il referendum propositivo e quello di indirizzo (istituti che favorirebbero la partecipazione dei cittadini alla formazione delle politiche pubbliche, ndr), i quali però devono essere disciplinati con legge costituzionale. La norma non è quindi immediatamente applicabile, in quanto il nuovo art. 71 rinvia ad una legge costituzionale la definizione di “condizioni ed effetti” dei referendum popolari propositivi e d’indirizzo, e ad una legge bicamerale la predisposizione della normativa “di attuazione”.

 

6) Che cos’è il voto “a data certa” (art. 72 Cost.)?

«Il voto a data certa è un procedimento legislativo apposito disciplinato dal nuovo articolo 72, che cerca di risolvere le lungaggini del procedimento legislativo attribuendo una corsia preferenziale ai disegni di legge di iniziativa governativa ritenuti dal Governo particolarmente importanti per l’attuazione del suo indirizzo politico. È una norma, in linea di principio, di un  certo interesse. Sono già stabiliti i casi in cui questo tipo di procedimento non si può usare (nelle leggi bicamerali, nelle leggi in materia elettorale, nelle leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali, ecc.). Salvo questi ultimi casi il Governo può chiedere alla Camera di deliberare, entro 5 giorni dalla richiesta, che un disegno di legge, indicato come essenziale, sia iscritto con priorità all’ordine del giorno e sottoposto alla pronuncia in via definitiva della Camera entro il termine di 70 giorni dalla deliberazione. Un procedimento in bilico tra la possibilità di un suo abuso (e se tutti i disegni di legge diventassero “fondamentali” per l’attuazione del programma politico del Governo?) e quella di una sua dubbia utilità (cosa succede se la Camera viola questa regola costituzionale?). Non è ben chiaro, in effetti, quale sia la sanzione per il mancato rispetto della data certa: tanto che vi è chi ha ragionato di un voto “a data sperata”…»

 

7) I costituzionalisti contrari alla riforma parlano di «rischi di incertezze e conflitti» derivanti dal nuovo iter legislativo proposto nel disegno di legge Boschi. È un timore fondato?

«La valutazione che viene fatta di un possibile incremento del contenzioso costituzionale in questo ambito è condivisibile, perché il procedimento legislativo appare molto più articolato e complicato che in precedenza; tanto da estendere, conseguentemente, il sindacato della Corte costituzionale sui possibili vizi formali delle leggi (i vizi che discendono dalla violazione delle regole costituzionali sul procedimento legislativo). Una certa preoccupazione desta pure la definizione delle leggi bicamerali: la riforma costituzionale ragiona per tipologie di leggi, ma questo non esclude possibili problematiche legate alla corretta individuazione del procedimento legislativo da seguire. Anche l’art. 70, primo comma, nella parte in cui stabilisce che leggi bicamerali devono avere un oggetto proprio, e “possono essere abrogate, modificate o derogate solo in forma espressa e da leggi approvate a norma del presente comma”, potrà determinare un nuovo contenzioso costituzionale».

 

8) Vi sono elementi tra quelli analizzati su cui la propaganda politica potrebbe “spingere” particolarmente (per il sì o per il no)?

«Il “Si” punterà tutto sull’efficienza normativa maggiore che dovrebbe discendere da questa nuova ripartizione dei poteri legislativi; la concentrazione del potere legislativo nella sola Camera, con il Senato privo di un generale potere di interdizione. La propaganda presenterà la riforma come un progetto di legge che risolverà tutti i problemi della qualità legislativa italiana, e il “No” dirà esattamente il contrario: dirà che il problema della qualità della legislazione non dipende dalla presenza di una seconda camera con funzioni uguali; dirà che, anzi, il nuovo testo confonde molto le acque e crea nuove tipologie di conflitto. Da una parte si dirà “si semplifica, si accelera”, dall’altra “c’è molta più confusione rispetto a prima”».

INTERVISTA 1: IL NUOVO SENATO E L’ITALICUM
INTERVISTA 3: GOVERNO, BILANCIO, DECRETAZIONE D’URGENZA