
“Ma le province non erano state abolite?“. Sì, o almeno questo è quanto è stato fatto credere. Così, come insegna il Gattopardo, ancora una volta è cambiato tutto, affinché non cambiasse proprio niente. La legge 7 aprile 2014 n. 56, detta “legge Delrio” ha mantenuto 97 delle 107 province esistenti, trasformando le restanti 10 in “Città Metropolitane“, semplicemente delle province più grandi delle altre, che però mantengono il territorio e le funzioni esistenti.
Il lato positivo della questione sembra essere l’assenza di rimborsi spese, stipendi e indennità per i nuovi consiglieri e presidenti provinciali, che sono numericamente inferiori rispetto a prima e che arrivano direttamente dai consigli e dalle giunte dei vari Comuni della Provincia. Anche qui, purtroppo, il miglioramento è solo apparente: al taglio di 2.159 poltrone provinciali fa compagnia l’aumento dei seggi per i consiglieri (+26.096) e gli assessori (+5.036) nei Comuni inferiori ai 10mila abitanti. E loro sì che percepiscono un gettone di presenza ogniqualvolta mettono piede nelle sale consiliari.

Altro passaggio fondamentale, mantenuto il più possibile nascosto all’opinione pubblica, è il passaggio delle Province a organi di secondo livello. Cosa significa? Significa che per la prima volta nella storia non sono i cittadini a poter scegliere i propri rappresentanti, ma solo gli amministratori locali. Anzi, parliamo al passato, perché le elezioni provinciali di quest’anno si sono già tenute nell’arco di tre domeniche, tra il 28 settembre e il 12 ottobre. Chiamati alle urne gli amministratori di 8 Città Metropolitane (Bari, Bologna, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Roma e Torino) e 64 Province. In Veneto, sono stati rinnovati i consigli provinciali di Belluno, Padova, Rovigo, Verona e Vicenza. Ciascun voto era ponderato, proporzionale al numero di cittadini che il consigliere comunale e il sindaco rappresentano all’interno dell’intero corpo elettorale della Provincia, in base alla popolazione residente nel Comune di appartenenza.

Questo ha provocato tantissima confusione nei cittadini, per la maggior parte venuti a conoscenza dell’appuntamento elettorale – a cui non potevano comunque partecipare – il giorno stesso, grazie alla mediocre e celere copertura dei media nazionali. A farla da padrone sono state le “larghe intese“: in molti casi, infatti, formazioni di centro, di destra o di sinistra (non il Movimento Cinque Stelle, che non ha preso parte alla tornata elettorale) si sono coalizzate in improbabili alleanze, giungendo spesso alla nomina di un candidato unico. L’estinzione dell’elezione diretta ha reso possibile questi accordi interpartitici di spartizione del potere, dando vita a un gravissimo deficit di democrazia.
Le Province sono, da decenni, degli enti che hanno perso qualsiasi utilità, i cui compiti dovrebbero essere assorbiti da altri livelli governativi, come ad esempio Regioni o Comuni. Il governo Renzi sembrava aver finalmente assimilato questa esigenza di accorpamento e di semplificazione del panorama istituzionale, ma l’unico taglio vero che l’esecutivo ha effettuato sembra essere quello del corpo elettorale, venendo meno a uno dei più basilari principi costituzionali: il diritto dei cittadini a essere rappresentati.
Giacomo Visentin
Mi pare che Estensione, attraverso il giornalista Giacomo Visentin, faccia più disinformazione che informazione su quello che è accaduto alle province.
Sembra quasi che il giornalista abbia come unico obiettivo da mettere in risalto il fatto che il M5S non abbia partecipato all’evento elettorale, evidenziandone per così dire la purezza.
È incredibile che il fatto di una votazione di secondo livello venga evidenziato negativamente come una privazione di sovranità ai cittadini quando invece è proprio quella la novità positiva della cosa e cioè l’aver di fatto svuotato le province di peso politico facendo sooravanzare comuni e regione.
Peraltro, non viene fatto nemmeno un cenno alla totale abolizione dei costi dei politici provinciali, con la riforma infatti chi fa politica in Provincia lo fa a titolo completamente gratuito senza alcun tipo di rimborso. Poi non viene nemmeno citata la riduzione di competenze operative.
Solo un grande spazio alle fantomatica perdita di sovranità dei cittadini dimenticando che sono tanti i paesi europei con enti di secondo livello e nessuno si scandalizza.
Delle due l’una : o Visentin è male informato o è in mala fede.
Forse Estensione avrebbe dovuto assegnare questo argomento a qualcuno che vuole realmente approfondire il tema.
E’ buona educazione scrivere nome e cognome quando si entra in una discussione. Forse non le è chiaro il concetto centrale: le province sono un organo che doveva essere abolito. Era una promessa fatta dallo stesso governo Renzi (insieme a tante altre).
Mi pare che abbia letto l’articolo molto sbrigativamente, visto che dice “non viene fatto nemmeno un cenno alla totale abolizione dei costi dei politici provinciali”, argomento che viene affrontato nel secondo paragrafo. Alla totale abolizione dei costi dei politici provinciali, fa però da contraltare un aumento del numero dei consiglieri comunali, che invece i gettoni di presenza li percepiscono.
Il mio pezzo non è un inno all’”immacolato M5S”, anzi ho semplicemente riportato un dato, ovvero che i grillini non hanno partecipato alle elezioni provinciali. Punto. Dico una cosa sbagliata? Lei crede veramente che il mio sia un pensiero a tinte pentastellate?
Mi dispiace deluderla ma il mestiere del giornalista è anche criticare tutto e tutti, e quindi no, l’aver trasformato le province in organi di secondo livello non è una novità positiva: le province dovevano essere abolite, sia per una logica di buon senso sia per quanto detto da Renzi. Sono enti inutili che purtroppo, con la legislazione vigente, mantengono un peso politico (altrimenti non ci sarebbe il 90% di affluenza tra gli amministratori locali), invece di spartirlo con Comuni e Regione. Sig. Francesco, non sarà mica un sindaco o un consigliere comunale? Cordiali saluti.
Giacomo Visentin
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