Qualche settimana fa ho avuto un diverbio in un social network, con un ragazzo che difendeva a spada tratta le azioni di Israele. Ho risposto a tono, perché la violenza che scorre nelle strade e nei cieli di Gaza è sotto gli occhi di tutto il mondo. Durante l’intera discussione mi ha sempre risposto con dati e concetti chiari e ben argomentati, senza mai scadere nella banalità. Così ho deciso di intervistarlo. Credo che il dovere di ogni giornalista sia di farsi un’opinione, ma non di assumerla a dogma, corretto e immutabile, e che quindi sia giusto ascoltare sempre almeno due campane in ogni questione.
Anthony ha 25 anni, ed è israeliano. “Sono in Italia da quasi sei anni. Studio Medicina perché voglio diventare medico al seguito dell’esercito del mio paese”. Non è il primo ragazzo israeliano che incontro; l’anno scorso ne avevo conosciuto un altro di soli 18 anni, scappato da Israele per non dover sostenere il servizio militare obbligatorio. “Sì, in Israele la leva è obbligatoria dopo i 18 anni – conferma – dopo le superiori puoi scegliere se fare tre anni di servizio militare, o due di servizio civile. Ma è la prima volta che sento parlare di qualcuno che scappa”. Anthony è arabo-cristiano e come tale è escluso dall’obbligo; stesso discorso per gli arabi-musulmani.
Mi sorge spontaneo chiedere come in Israele venga raccontato il conflitto con i palestinesi, innanzitutto dal punto di vista storico. Il concetto di “Terra Promessa” è ancora vivo e vegeto? “Era un’idea presente 2000 anni fa, all’epoca dei romani e della diaspora. La regione si chiamava Siria-Palestina, ed è per questo che oggi la zona porta questo nome, ma non è mai esistito uno Stato chiamato ‘Palestina’. Durante il dominio dell’impero ottomano, gli ebrei erano in maggioranza significativa in tre città, tra cui Gerusalemme. Alla fine dell’Ottocento l’Europa venne colpita dall’antisemitismo, così gli ebrei chiesero il permesso di poter emigrare e di tornare in Palestina”. E qui arriviamo alla prima intersezione pericolosa.
Con la caduta dell’impero ottomano, la Gran Bretagna si fece garante del desiderio di tornare a casa del popolo ebraico. Ma in realtà, “la dichiarazione Balfour del 1917 non promise uno Stato a nessuno. Gli ebrei ebbero il permesso di tornare in Palestina, a condizione di non creare disagi al popolo arabo indigeno” continua Anthony. “Gli ebrei iniziarono a comprare le terre del nord e del centro, le meno desertiche; gli arabi, spaventati, chiamarono altri arabi dalle regioni limitrofe, in modo da mantenersi in maggioranza sugli ebrei, che nel frattempo erano divenuti il 30% della popolazione”.
La tensione aumentò per tutti gli anni trenta, fino a quando, nel 1947, l’Onu decise di dividere la terra tra le due popolazioni. L’ok ebraico trovò opposizione nel diniego arabo, che provocò una guerra vinta dagli ebrei. La conquista di questi di alcune terre arabe diede vita, nel 1948, allo Stato di Israele. La striscia di Gaza e la Cisgiordania vennero invece annesse nel 1967, in seguito alla vittoria israeliana sui Paesi arabi (Egitto, Giordania e Siria) nella Guerra dei Sei Giorni. “In Israele c’è la libertà di opinione e di religione; lo Stato dà ai propri cittadini arabi gli stessi diritti che hanno gli ebrei, a differenza degli Stati arabi come Giordania ed Egitto, dove ancora oggi i palestinesi sono etichettati come rifugiati e non hanno diritti da cittadini comuni”.
Da allora Gaza e Cisgiordania sono teatro di uno dei conflitti più lunghi della storia. Tra parziali aperture e brusche chiusure, si arriva al decennio scorso. “Nel 2000 israeliani e palestinesi stavano per fare pace. Israele avrebbe ridato ai palestinesi il 93% delle terre che possedevano nel 1967; tutte tranne Gerusalemme. I palestinesi non hanno accettato l’accordo e hanno iniziato la seconda intifada (rivolte caratterizzate da attentati e violenze, ndr). Nel 2005, Israele ha ritirato il proprio esercito e i propri cittadini da Gaza, lasciando a disposizione dei palestinesi delle terre pronte all’agricoltura. Due anni più tardi, quando Hamas è salito al potere, ha iniziato a lanciare missili sulle città israeliane attorno. Sono passati sette anni, e niente è cambiato”.
Il conflitto israelo-palestinese è tornato al centro dell’attenzione dei mass media il mese scorso, quando Israele ha attaccato Gaza, dopo il rapimento e l’uccisione di tre ragazzi israeliani in Cisgiordania. Da allora, la guerra è divampata, uccidendo almeno 2.000 palestinesi e non più di un centinaio di israeliani. Perché questa differenza nel bilancio delle vittime? “Israele ha speso miliardi per costruire dei sistemi di difesa, specialmente nelle città vicine. Lo Stato ha messo a disposizione addirittura un’app che segnala l’allarme sul cellulare, in modo da scappare nei rifugi appositamente costruiti anche quando questo non viene sentito. Lo Stato e l’esercito israeliano fanno di tutto per proteggere i propri civili, attaccano solo quando vengono attaccati. Hamas, invece, ha speso tutti i soldi presi dagli aiuti umanitari per acquistare armi. I milioni di tonnellate di cemento che sono stati mandati per costruire case e scuole, sono stati usati per costruire dei tunnel sotterranei che sbucano in territorio israeliano, in modo da portare a termine gli attentati”.
Nonostante questo, Israele agli occhi del mondo continua a recitare la parte del carnefice, dell’esercito cinico e spietato che non risparmia i civili palestinesi. “Israele manda dei flyer di avvertimento, chiama al telefono e infine lancia una bomba di suono (l’insieme delle tre pratiche è l’azione chiamata roof knocking, ndr), per far capire ai civili che si devono allontanare da casa. In guerra bisognerebbe prendere di sorpresa il nemico, Israele non lo fa perché il suo obiettivo non è uccidere i palestinesi ma, per esempio, colpire il magazzino di armi di Hamas, che sta al secondo piano di quell’edificio” giustifica Anthony. “Nel web ci sono dei video in cui i piloti dei caccia israeliani avvistano dei bambini palestinesi e abortano la missione. Perché uno Stato come Israele, che tutti giudicano, nel bene e nel male, dovrebbe avere interesse a uccidere dei bambini, delle donne, degli anziani, dei civili? I media e gli Stati occidentali giudicano Israele perché è un alleato e sanno che non possono essere attaccati. L’Europa non fa nulla, non interviene. Nessuno va a giudicare un musulmano estremista di Hamas, perché fa paura”.
Ma i palestinesi non sono tutti d’accordo con le azioni di Hamas, anzi. Eppure “non possono sottrarsi, perché vengono uccisi. Per esempio, gli alleati di Hamas bloccano le uscite dei palazzi che vengono attaccati da Israele. Perché Hamas vuole che la gente muoia, vuole l’impatto mediatico, in modo che l’Occidente veda, che i media mostrino al mondo cadaveri di bambini, donne e vecchi palestinesi. Ma la verità è che non possono scappare”. In Israele le forme di dissenso, invece, si sono manifestate eccome, soprattutto nelle ultime settimane. “Nessuno vuole la guerra. Certo, in ogni Stato ci sono gli estremisti a favore, ma sarebbe stupido mandare a morire volontariamente i propri cari. Il popolo israeliano vuole vivere, non vuole una guerra che costa sia in termini economici che di vite, ma finché Hamas continuerà a lanciare missili, non si arriverà a un accordo. La realtà è che Israele è una forza militare mondiale, ha tutta la potenza per cancellare Gaza in qualche ora. Ma non lo fa, perché preferisce operazioni chirurgiche, in modo da colpire gli estremisti e non i civili” spiega. Anthony fa una breve pausa, poi attacca: “Ciò che mi fa arrabbiare è leggere “Stay human, stop bombing Gaza”, come se gli israeliani non fossero esseri umani, come se fosse solo Gaza a essere colpita dalla guerra” esclama amaro. “Se io vedo un bambino palestinese morto, mi piange il cuore. Siamo contro Hamas, non contro i palestinesi. Ma è una guerra, e ci sono dei danni collaterali che puoi solo minimizzare in una zona densamente popolata come Gaza”.
E allora perché non provare a fermare tutto questo? E’ solo un’illusione pensare di poter discutere e giungere a un accordo con Hamas? “Tutti i “cessate il fuoco” sono stati accettati da Israele. A volte a chiedere la tregua è lo stesso Hamas, che la rompe un’ora e mezza più tardi. Anche terze parti come l’Egitto provano a mediare, ma la filosofia di Hamas è sempre quella: uccidere gli ebrei, liberare la Palestina, far scomparire Israele. Hamas ha delle pretese non realistiche: per esempio, vuole rendere liberi i passaggi tra Gaza e Israele”. So di passare per idealista, ma chiedo: “I palestinesi sarebbero d’accordo a far parte di uno Stato unico, che fonda Israele, Gaza e la Cisgiordania?”. “Non ho mai parlato con loro di questo, non saprei dirti”. “E voi israeliani?” insisto. “No. Non posso immaginare Gaza e la Cisgiordania come parte di Israele. Già il numero di attentati è alto con tutte le protezioni che ci sono, immagina se dovessimo rimuoverle completamente”. Non demordo: “Nemmeno in un lontano futuro?”. “Ti faccio un esempio: tu vuoi uccidermi, e ti accolgo a vivere nel secondo piano di casa mia. Secondo te come dormirei? Tranquillo?” La risposta resta sospesa nell’aria di una fresca serata estiva.
Quello tra Gaza e Israele è un eterno tiro alla fune, dove i partecipanti sono sempre più stanchi, ma nessuno dei due vuole cedere, ben sapendo che se entrambi mollassero la presa potrebbero rifiatare e raggiungere un pareggio che porterebbe benefici a tutti e due. Ma uno non si fida dell’altro e viceversa, perché ha paura che allentando la forza sulla fune, l’altro tiri più forte e vinca la partita.
Mi congedo con questo video di Hamas TV. E’ in inglese, spero riuscirete a comprenderne il significato. Mostra una trasmissione di e per bambini palestinesi, in cui gli stessi piccoli protagonisti si autoincoraggiano a uccidere i nemici israeliani.
http://www.youtube.com/watch?v=57Q8K5TmivM
Giacomo Visentin
…il vostro amico è solo un sionista mal informato (o volutamente bugiardo).
Le varie tregue le ha costantemente disattese lo stato Israeliano inviando coloni. e quando i palestinesi non ci stavano venivano eliminati (accade tutt’ora).
Per l’attualità beh, Israele è così chirurgico che colpisce praticamente solo scuole e ospedali. e non certo perché ci sono i depositi delle armi di hamas. depositi che oltretutto contengono razzi pressoché innocui confrontati con quelli che lancia Israele.
poi dice che la colpa è di Hamas che compra armi? Israele spende più soldi in armamenti ogni anno di quanti sono i soldi in circolazione in tutti i territori palestinesi.
L’europa non fa nulla? come no? qualcosa fa, si gira dall’altra e fa finta di non vedere decenni di soprusi di Israele sui territori palestinesi. ecco quello che fa l’europa.
e poi: “ti accolgo a vivere nel secondo piano di casa mia”? scherzi vero… al massimo puoi dire “se dopo averti cacciato con la forza dalla tua casa, ti concedo di tornare ma relegato al secondo piano”.Direi che fate bene a non dormire tranquilli!
Si vergogni il sionista intervistato e l’articolista che da spazio a simili idee sioniste e fasciste.
Mi piace come il giornalista riesce,con arte maieutica,a far uscire con chiarezza il pensiero e la visione del giovane israeliano.
Certo si potrà dissentire ma ritengo che comunicare in questo modo può creare occasioni d’incontro.
Grazie
Buongiorno sig. StayHuman – a proposito, è buon costume commentare con proprio nome e cognome senza celarsi dietro uno pseudonimo, troppo facile fare i leoni da tastiera così – sono l’autore di questo articolo, Giacomo Visentin. Non ho niente contro le opinioni e i giudizi espressi nella prima parte del suo commento. Qui si è liberi di esprimere la propria posizione e il proprio parere, perché la libertà di espressione è uno dei nostri valori fondamentali. Sono le ultime due righe a lasciarmi perplesso. In quanto articolista, mi sono fatto semplice tramite tra l’intervistato e i lettori. La mia intenzione non era “dare spazio a idee sioniste e fasciste”, bensì offrire un punto di vista diverso: sta al lettore creare una propria opinione. Chi le dice che io sia d’accordo con quanto affermato da Anthony? Qui il fascista è lei, visto che non le va di leggere pareri diversi dal suo. La speranza è di creare un dibattito costruttivo, non una sorda guerra dialettica.
Giacomo Visentin
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