
Può un politico che ha commesso reati legati ai suoi incarichi pubblici percepire in virtù di questi stessi incarichi una pensione pagata dai cittadini? A quanto pare, in Italia, sì. Se infatti il consiglio regionale, per bocca del suo presidente Clodovaldo Ruffato, ha escluso che tutti coloro che sono rimasti coinvolti nello scandalo del Mose possano godere del vitalizio previsto per gli ex consiglieri, Giancarlo Galan è stato anche parlamentare. Un anno da deputato e qualche mese da senatore: un’esperienza breve, che dovrebbe essere sufficiente, comunque, a garantirgli l’accesso a un altro assegno, sia pure meno cospicuo.
A sollevare la questione in Regione è stata l’Italia dei Valori. Ruffato ha risposto facendo riferimento al decreto 174 del 2012, che recita testualmente: “È esclusa l’erogazione dell’assegno vitalizio in favore di chi sia condannato in via definitiva per delitti contro la pubblica amministrazione.” Niente pensione dorata sostenuta dai veneti, quindi, avendo Galan patteggiato una pena di 2 anni e 10 mesi e il pagamento di una multa di 2,6 milioni di euro. O forse sì? Perché a smentire il presidente del consiglio regionale ci ha subito pensato l’avvocato dell’ex Doge, Antonio Franchini, secondo il quale “il patteggiamento non ha gli effetti penali della sentenza di condanna e nemmeno le pene accessorie.” In altre parole, Galan non è stato processato né giudicato. Ha semplicemente chiesto e ottenuto l’applicazione di una pena ridotta rispetto a quanto sarebbe previsto dal Codice Penale per i capi di imputazione a suo carico. Il che, per la giurisprudenza italiana, è a metà strada tra assoluzione e condanna. Un patteggiamento, inoltre, spiega Franchini, non equivale a un’ammissione di colpevolezza, perché “può dipendere da altre motivazioni”. Sul caso, quindi, si preannuncia un acceso dibattito legale. E non è affatto scontato che a spuntarla sia la Regione.
Altra storia, poi, quella del vitalizio previsto per i parlamentari condannati. La proposta di abolizione del Movimento Cinque Stelle è stata presentata diverse volte, l’ultima in occasione della discussione dei bilanci di Camera e Senato, venendo rinviata a una “successiva decisione”. Al momento questa decisione non è ancora arrivata, sebbene il titolare di Palazzo Madama Pietro Grasso abbia promesso di affrontare il tema nel prossimo consiglio di presidenza. L’ex governatore del Veneto, tuttora Presidente della commissione Cultura di Montecitorio, continuerà in ogni caso a percepire lo stipendio da deputato fino a quando l’Aula non avrà decretato la sua decadenza.
Davide Permunian