Dopo la Scozia il Veneto: è possibile indire un referendum nella nostra regione?

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Fonte immagine: http://www.formiche.net

Il referendum sull’indipendenza della Scozia dal Regno Unito, conclusosi negativamente per i sostenitori di “Yes Scotland”, ha rianimato sul piano politico e mediatico la possibilità di indire un referendum per la separazione del Veneto dall’Italia.
Durante la tradizionale Festa dei Popoli Padani, tenutasi a Cittadella domenica 21 settembre, è intervenuto il presidente della regione Luca Zaia, il quale ha affermato che la Scozia “ha dimostrato che il referendum è legale e questa sarà la base giuridica del nostro ricorso. Andremo a Roma a difendere fino in fondo le nostre due leggi referendarie. E’ da repubblica delle banane pensare che i borboni di Roma applichino la dittatura della Corona inglese, che ha permesso agli scozzesi di esprimersi». Dello stesso parere anche Matteo Salvini,leader della Lega, Roberto Maroni, governatore della regione Lombardia, Flavio Tosi, sindaco di Verona, e Umberto Bossi, il quale si è soffermato anche sull’eccessiva pressione fiscale e sull’accoglienza degli immigrati nella nostra regione.
Al di là delle opinioni che ognuno di noi ha a proposito della questione indipendenza e referendum, ritengo sia giusto fornire alcuni dati e alcune considerazioni riguardo la legittimità di un eventuale referendum consultivo, risolvendo una volta per tutte la diatriba tra chi sostiene l’adottabilità di questo provvedimento e chi la proclama anticostituzionale, e quindi inattuabile.
Bisogna premettere che non si possono liquidare le spinte indipendentiste del Veneto come il semplice risultato di campagne populiste, né si può partire prevenuti snobbando le motivazioni degli indipendentisti.
La crisi ha massacrato la nostra regione, una delle locomotive d’Italia, ha creato nuova povertà e diffusa disoccupazione, il disagio è reale e si traduce in una insofferenza crescente per i troppi decreti Salva Roma, Salva Napoli, Salva Catania, che vanno a sanare i conti di enti che sarebbero da commissariare. La regione Veneto ha 2500 dipendenti, la regione Sicilia ne ha 20000 con sistematiche crisi di liquidità sempre sanate dall’intervento statale. Questo non vuole richiamare la questione meridionale, ma la chiarezza di certe cifre, chiaramente verificabili consultando SIOPE.it, non lascia molto spazio a considerazioni fantasiose o speculazioni intellettuali per spiegare lo spreco di risorse pubbliche e l’inadeguatezza dell’intero sistema fiscale e amministrativo italiano. Questo risulta altamente burocratizzato e di conseguenza non abbastanza dinamico e veloce nel rispondere con provvedimenti adeguati alle emergenze, mentre è palese il fallimento dei finanziamenti a fondo perduto per il Mezzogiorno, politiche economiche che sussistono da più di 150 anni senza un esito concreto in termini di incentivazione all’attività imprenditoriale.
Insomma, l’insofferenza è comprensibile, i veneti ricevono spesa pubblica per circa 40 miliardi, ma versano imposte per 60 miliardi, con un saldo pesantemente negativo di 20 miliardi di euro i quali, secondo gli indipendentisti ma anche secondo i sostenitori del federalismo fiscale, potrebbero essere investiti nel territorio anziché spediti a Roma.
Se si considera il rapporto tra spesa pubblica e Pil (pari a 140 miliardi di euro, il terzo in Italia dietro a Lombardia e Lazio), il Veneto risulta essere anche la regione trattata in modo peggiore, con un 26,5% contro ad esempio il 48,2% della Campania.
Dal punto di vista economico e fiscale il malumore dei veneti è quindi ampiamente giustificabile, come è innegabile la presenza di una cultura e di una storia veneta, che vede le proprie origini quasi mille anni fa.
Tuttavia è altrettanto innegabile che questo malumore non si può paragonare a quello di Scozzesi e Catalani, dove la  componente storica e della rivendicazione territoriale è molto forte e da molto più tempo radicata e sentita, oppure a quello dei Baschi, in cui la componente identitaria e culturale è la chiave della spinta autonomista.
I movimenti indipendentisti in Veneto sono sempre esistiti, ma non hanno mai avuto un seguito relativamente alto come oggi, questo perché  ciò che spinge i sostenitori indipendentisti a chiedere l’indipendenza è più che altro un fattore economico. La crisi ha portato all’esasperazione molti cittadini veneti, che ora si ritrovano disoccupati e vedono negli sperperi di denaro pubblico e nella gestione inefficiente del loro denaro altrove una profonda fonte di rabbia e ingiustizia, atta solamente ad allentare sempre più la sopportazione e l’identità con lo stato italiano.
Ma è possibile indire un referendum consultivo per l’indipendenza del Veneto?
In un articolo di “Panorama”, datato 09/04/2014, Luca Antonini, professore ordinario di diritto costituzionale all’Università di Padova, spiega chiaramente che dal punto di vista costituzionale non è possibile e che se il consiglio regionale varasse una legge per indire un vero e proprio referendum consultivo sull’indipendenza, sarebbe un atto contro l’unità e l’indivisibilità della Repubblica. L’esito sarebbe lo scioglimento del consiglio regionale da parte del Presidente della Repubblica.
Inoltre secondo Antonini, che è anche presidente della Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale, nel caso in cui il Veneto diventasse indipendente, non sarebbe un gioco economicamente fruttuoso. Infatti il Veneto dovrebbe provvedere ad una serie di servizi pubblici oggi a carico di Roma, come la difesa, la giustizia, la polizia, la sanità, per le quali oggi provvedono le economie di scala. Insomma, una parte molto ampia di quei 20 miliardi che il Veneto guadagnerebbe dall’indipendenza, dovrebb essere investita per la creazione di nuove strutture statali.
Maverik Allegro