Ddl Boschi: Governo, bilancio e decretazione d’urgenza. Ecco cosa cambia

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La sala del Consiglio dei Ministri vista dall'alto. (www.governo.it)
(La sala del Consiglio dei Ministri vista dall’alto. Fonte foto: www.governo.it)

Estensione, da vero “cane da guardia del potere”, ha deciso di dedicare al referendum costituzionale che si terrà in autunno una particolare attenzione, consci dell’importanza storica dell’avvenimento e della necessità di una sensibilizzazione per un voto consapevole: durante i mesi che ci separano dal voto verrà pubblicata una serie di articoli che approfondirà i più importanti temi oggetto della revisione costituzionale. La terza intervista di questo “percorso democratico” concerne le modifiche delle norme costituzionali riguardanti il Governo, la procedura di bilancio e la decretazione d’urgenza. Ne discutiamo con l’avvocato Giuseppe Bergonzini, professore di Diritto pubblico dell’Università di Padova.

1) Nell’assetto costituzionale risultante dalla riforma saranno modificati i poteri del Governo e in particolare quelli del Presidente del Consiglio?

No, la riforma costituzionale non apporta modifiche formali alle norme costituzionali che riguardano i poteri del Governo e quelli del Presidente del Consiglio. L’unica differenza significativa che possiamo segnalare è proprio quel procedimento di approvazione “a data certa” che dovrebbe costituire una chiara corsia preferenziale per il Governo (con tutti i dubbi e le perplessità che abbiamo constatato nella precedente intervista 2 sia sul possibile abuso di questo strumento, sia sul rischio del mancato rispetto della norma costituzionale). Il problema, piuttosto, è il rapporto con la nuova legge elettorale, perché le critiche che vengono fatte, sotto questo profilo, non si appuntano sulle modifiche costituzionali ma riguardano soprattutto l’impatto della nuova legge elettorale sulla forma di governo.

2) La previsione dell’instaurazione del rapporto di fiducia con la sola Camera dei deputati, se rapportata alla nuova legge elettorale, può tradursi in un fattore di “incontestabile forte rafforzamento della stabilità dell’esecutivo”, a fronte soprattutto dell’attribuzione del premio di maggioranza alla lista e non più alla coalizione vincitrice?

Che ci sia un rafforzamento dell’esecutivo derivante dalla legge elettorale, così come formulata, non c’è dubbio. La nuova legge elettorale prevede un premio di maggioranza significativo (vedi intervista 1), attribuito alla singola lista: se una lista prende più del 40% dei voti guadagna un 15%,  arrivando al 55% (340 seggi), che è più che sufficiente per governare da soli, anche senza coalizioni. Un’altra cosa abbastanza evidente è questa: il nuovo sistema elettorale delinea una forma di investitura quasi diretta del c.d. Premier: poiché si sa chi è il capo della lista, prima di votare, se la lista prende il 40% o se la lista vince il ballottaggio al secondo turno è assai difficile immaginare che il Presidente della Repubblica possa conferire l’incarico ad una persona diversa dal candidato Presidente individuato in sede elettorale. Quindi c’è sicuramente un rafforzamento dell’esecutivo e una svolta verso meccanismi di investitura diretta del premier. A questi effetti è possibile dare una valutazione negativa o positiva a seconda della prospettiva da cui si  muove. È lo stesso discorso che abbiamo fatto per la legge elettorale (vedi intervista 1): cosa scegliamo? La c.d. governabilità o l’equilibrio tra le forze politiche? La stessa cosa qui: qual è l’obiettivo che si persegue? È la stabilità del Governo? Oppure è l’equilibrio tra maggioranza e minoranze? L’attuale legge elettorale persegue, senza ombra di dubbio, l’obiettivo della governabilità. Scelta che può risultare non condivisibile, ma che è comprensibile alla luce della frammentazione del nostro sistema politico, caratterizzato da tante distinzioni, tanti partiti e “partitini”. Tante idee diverse che rappresentano, in fondo, una ricchezza del nostro panorama politico/culturale, ma che rendono difficile l’attuazione di programmi di governo coerenti e sufficientemente stabili nel tempo. Ecco allora il tentativo di attribuire alla lista vincitrice una maggioranza decisiva, sperando che questa maggioranza decisiva comunque non precluda, nella tornata elettorale successiva, la scelta di una maggioranza diversa. Mi auguro sia così, nonostante l’attuale legge elettorale possa nuocere alle minoranze, dividendole e lasciando loro poco spazio in Parlamento. Ho l’impressione, del resto, che l’opinione politica italiana cambi molto in fretta: non sottovaluterei, quindi, la capacità degli elettori italiani di sanzionare anche una lista di governo resa forte (solo in apparenza?) dal premio di maggioranza.

3) Come funzionerà la nuova procedura di approvazione del bilancio? L’assenza del Senato in questa importante funzione come inciderà nella distribuzione generale delle risorse finanziarie?

Le leggi di bilancio sono approvate dalla sola Camera dei deputati; saranno semplicemente esaminate dal Senato della Repubblica che può deliberare “proposte di modificazione” entro 15 giorni dalla data della trasmissione. Quindi il procedimento di approvazione del bilancio e dei rendiconti è un procedimento monocamerale con intervento (eventuale) del Senato. Ciò è perfettamente in linea con la volontà di rendere solo la Camera l’organo politico rappresentativo in senso proprio. Il dubbio vero è sul ruolo del Senato e qui vale sempre il richiamo a quanto abbiamo già detto: la capacità del Senato di intervenire efficacemente nel procedimento legislativo dipende da tanti fattori; potrebbe risolversi in un nulla di fatto e, di contro, potrebbe risolversi in un apporto significativo. Certo è che non ci possiamo aspettare chissà quale intervento decisivo del Senato in questa materia proprio perché la scelta a monte è quella di stabilire che la politica economica la decida la Camera; questa è una conseguenza inevitabile del superamento del bicameralismo perfetto, come attuato da questa riforma, che conferma una tendenza (non nuova, soprattutto in periodi di crisi economica) all’accentramento delle decisioni fondamentali di finanza pubblica. Resta la speranza che il Senato, con questo ruolo meramente procedimentale, possa davvero rappresentare in modo adeguato le istituzioni territoriali, la cui autonomia finanziaria di entrata e di spesa (è il caso di ricordarlo….) è ancora riconosciuta nella Costituzione.

4) Come viene riformata la decretazione d’urgenza?

Sulla decretazione d’urgenza ci sono molti aspetti interessanti. Questa è una parte della riforma che può essere valutata positivamente, anche perché cerca di recepire indicazioni provenienti dalla giurisprudenza costituzionale. Ricordiamo innanzitutto che i decreti legge sono atti con forza di legge che il Governo può adottare “in casi straordinari di necessità e urgenza”. I decreti legge entrano in vigore immediatamente dopo la pubblicazione in Gazzetta ufficiale, ma gli effetti prodotti sono provvisori, perché questi stessi atti “perdono efficacia sin dall’inizio” se il Parlamento non li converte in legge entro 60 giorni dalla loro pubblicazione.
Le modifiche apportate dalla riforma costituzionale sono in pratica queste.

a) Intanto è previsto un termine differenziato per la conversione in legge in caso di rinvio presidenziale (infatti, il Presidente della Repubblica può, prima di promulgare la legge, chiedere alle Camere una nuova deliberazione). Diventa di 90 giorni (invece di 60 giorni). Ciò può avere un senso: proprio per garantire libertà decisionale al Presidente della Repubblica, che potrebbe sentirsi, in un certo senso, condizionato dalla scadenza ravvicinata del termine per la conversione.

b) C’è poi la puntale costituzionalizzazione (cioè trasformazione in regole costituzionali) di alcune prescrizioni che erano già contenute nella legge n. 400 del 1988 (che disciplina l’attività di Governo). In particolare, vi è il divieto di disciplinare con decreto legge le materie per cui è prevista la c.d. riserva di assemblea (la procedura normale di esame e di approvazione da parte della camera; quindi i decreti legge non potranno essere utilizzati in materia costituzionale ed elettorale, delegazione legislativa, autorizzazione a ratificare trattati internazionali, approvazione di bilanci e consuntivi). Inoltre, non si possono reiterare, cioè riproporre in un nuovo atto legislativo, disposizioni adottate con decreti legge non convertiti in legge (c.d. divieto di reiterazione); non si possono regolare i rapporti giuridici sorti sulla base dei medesimi decreti legge non convertiti; non si può ripristinare l’efficacia di norme di legge o di atti aventi forza di legge che la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimi per vizi sostanziali (che riguardano il contenuto di una legge). C’è poi una disposizione che sembra tradurre proprio la giurisprudenza costituzionale degli ultimi anni sulle caratteristiche fondamentali dei decreti legge: quella in base alla quale i decreti legge recano misure di immediata applicazione e di contenuto specifico, omogeneo e corrispondente al titolo. In più di un’occasione la Corte ha ribadito che inserire in un decreto legge disposizioni estranee al suo oggetto significa abusare di tale strumento, dando luogo ad una violazione dei presupposti di “necessità ed urgenza”; la stessa criticità era stata rilevata per le leggi di conversione, nelle quali venivano inserite norme non omogenee, non attinenti, rispetto a quelle originariamente previste nel decreto legge da convertire. Questa misura serve quindi a garantire una consequenzialità logico-costituzionale tra i presupposti del decreto legge, l’uso dello strumento della decretazione d’urgenza da parte del Governo e l’“appropriazione” del decreto da parte del Parlamento, cioè la conversione in legge.

c) Altre cose da considerare: il decreto legge potrà essere utilizzato anche nelle materie in cui si ritiene sussista un preminente interesse nazionale (è la c.d. clausola vampiro: consente di intervenire in materie riservate alle Regioni “quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”): ciò può comprimere pesantemente la potestà legislativa regionale; il decreto legge diventa uno strumento ancora più potente nelle mani dello Stato centrale.

d) Infine, per come è formulato l’articolo, sembrerebbe ovvio che si possa intervenire con decreto legge anche nelle materie bicamerali previste nel nuovo articolo 70 della Costituzione (vedi intervista 2). La legge di conversione di un decreto legge approvato per una materia bicamerale deve essere bicamerale o no? A me pare che se si vuole garantire davvero la “bicameralità” di quelle materie, pure la legge di conversione dovrebbe essere bicamerale, anche per consentire un effettivo controllo del Senato sui possibili abusi della decretazione d’urgenza. Questo è, comunque, un profilo critico che potrebbe dare adito a contenzioso costituzionale.

5) Vi sono elementi tra quelli analizzati su cui la propaganda politica potrebbe “spingere” particolarmente (per il sì o per il no)?

La propaganda per il “sì” farà leva sulla governabilità; quella per il “no” evidenzierà il depotenziamento delle minoranze. In questo ambito la discussione si concentrerà soprattutto sulla legge elettorale, perché di fatto in Costituzione non sono state introdotte rilevanti novità sui poteri del Governo. Non è un caso se, proprio in questi giorni, si vocifera di una possibile dichiarazione d’illegittimità costituzionale dell’attuale legge elettorale; anche la recente apertura del Presidente del Consiglio su possibili modificazioni della legge elettorale la dice lunga sulla sua importanza nella “partita” referendaria.

INTERVISTA 2: IL NUOVO ITER LEGISLATIVO
INTERVISTA 4: PDR E CORTE COSTITUZIONALE