– Ci siamo quasi, signor Raggi
La voce stanca del maresciallo Antonacci mi desta dalla dolce sensazione di torpore che ha avvolto per qualche istante il mio corpo e la mia mente. E’ mattina presto e la notte in carcere l’ho passata dormendo poco e male. Nonostante tutti gli sforzi fatti per mettere a tacere i miei pensieri, ho continuato ad arrovellarmi il cervello ripercorrendo freneticamente i drammatici eventi di queste settimane. Poi, poco dopo le sei, il maresciallo è venuto a portarmi una notizia che da un lato mi ha dato sollievo, dall’altro mi ha incupito ancora di più: “Il Giudice” ha ucciso di nuovo. Ogni accusa contro di me è caduta e tutti quelli che mi avevano già condannato prima del processo dovranno rivedere le loro posizioni. Ma nel frattempo un’altra persona è stata ammazzata. E nuove lacrime di dolore bagneranno una fredda lapide di marmo.
E’ un incubo che sembra non voler finire…
Arriviamo sul luogo del delitto. Il maresciallo Antonacci, forse per mitigare un po’ il suo senso di colpa dopo avermi ingiustamente arrestato, mi ha accompagnato qui con l’auto di servizio. Lo capisco, ma io non ho niente contro di lui. Ero, per motivi diversi, su tutte le scene del crimine e conoscevo dettagli che gli inquirenti non erano ancora stati capaci di scoprire: logico che potesse sospettare di me. Le enormi pressioni dei superiori e della stampa affinché risolvesse al più presto il caso, hanno fatto il resto.
L’abitazione nella quale è stato rinvenuto il cadavere è ampia ed elegantemente arredata. Seguo il maresciallo lungo i corridoi fino alla camera da letto. E lì, per terra vicino alla portafinestra che dà sul terrazzo, la vedo. So chi è la nuova vittima. A trovarla, dice un carabiniere, è stato il marito di ritorno da un viaggio di lavoro, ora ricoverato in ospedale in stato di shock. Si chiama Eleonora Ravani ed è una scrittrice milanese abbastanza nota. I suoi occhi sbarrati esprimono il terrore di chi l’ultima cosa che vede da vivo è la morte. La camicia da notte è tutta insanguinata, ma il peggio sono i piedi, che giacciono a pochi metri da lei, separati dal resto del corpo. Sul letto, la solita infernale busta gialla. La sentenza del “Giudice” stavolta recita così:
Io ti condanno perché te ne sei andata
Ho osservato abbastanza. Nauseato dall’ennesimo orrore messo in scena dal killer, lascio la stanza ed esco fuori all’aperto. Una donna mi viene incontro trafelata: è Jennifer.
– Jordan! Già qui? Come stai?
– Potrei stare meglio, ma anche peggio. Hai scoperto qualcosa?
– Niente, purtroppo. Le vittime, a parte il prete, sembrano persone a posto. E l’assassino non ha lasciato tracce
– Non ci dobbiamo arrendere, Jennifer. Sono sicuro che c’è un modo per arrivare alla verità
– La verità, Jordan, può essere pericolosa…
– In questo caso lo è senz’altro, ma non abbiamo scelta. Io voglio assolutamente fermare questa scia di omicidi
Guardo la mia collega. I suoi occhi nascondono qualcosa, ne sono certo, anche se non riesco a capire cosa. Sembra di ghiaccio, ma sotto la superficie ci sono dei pensieri e dei sentimenti. Vorrei tanto sapere quali.
– Cosa farai ora, Jordan?
– Tornerò dalla moglie di Giorgio Santi, la prima vittima, e cercherò di ottenere qualche informazioni utile a ricostruire il suo passato
– Io approfondirò la vita privata di Giacomo Colonna, la seconda vittima
– Molto bene. Se scopri qualcosa, chiamami
– Naturalmente. Fai attenzione, Jordan. A presto
Jennifer si congeda sfiorandomi appena la guancia con un bacio. Mentre si allontana, mi sorprendo a pensare che è proprio una bella donna. Mi scrollo subito quel pensiero di dosso: non ho tempo per inutili fantasticherie. Uno spietato assassino gira libero per la città senza un volto né un nome. Tocca a me darglieli. E devo farlo in fretta. Sono distrutto e avrei bisogno di una bella doccia ristoratrice, ma non mi posso fermare. L’unico piacere che mi concedo è un caffè al volo, poi mi presento alla porta della vedova Santi. Quando sono stato da lei subito dopo l’omicidio del marito, non mi ha riservato una grande accoglienza. Stavolta spero che si dimostri più ragionevole: individuare l’assassino e assicurarlo alla giustizia è una speranza che entrambi condividiamo. Suono il campanello. La donna mi apre e con un gesto mi invita a entrare. La televisione in salotto è accesa: sta andando in onda un’edizione straordinaria del notiziario locale, che informa la città degli ultimi tragici avvenimenti.
– Aveva ragione lei. Non è colpa sua se mio marito è morto e non è stato lei a ucciderlo, visto che un’altra persona è stata assassinata mentre era in prigione. Il mio comportamento è stato…
– …perfettamente comprensibile, dettato dal dolore per la perdita di Giorgio. Non sono qui per biasimarla, signora Santi. Sono qui perché ho bisogno del suo aiuto
– Mio marito era una persona molto chiusa, signor Raggi. Anche con me. Se sapessi qualcosa, glielo direi. Tutto quello che posso fare è accompagnarla giù, nel ripostiglio. Lì Giorgio teneva degli scatoloni con le cose della sua giovinezza, quando ancora non ci conoscevamo
Scendiamo le scale e arriviamo al piano terra. Vicino al garage della famiglia Santi, c’è una vecchia porticina sgangherata. La donna infila la chiave nella serratura e la apre. Accende la luce e mi lascia solo a frugare tra i ricordi del marito. Giorgio non era una cattiva persona. Lo so perché io di cattive persone ne ho incontrate parecchie sulla mia strada, e ormai ho imparato a riconoscerle. Ma a volte anche chi è buono, per leggerezza, paura o negligenza, commette errori che sarebbe stato meglio evitare. Alcuni si dimenticano, altri restano scolpiti nella memoria, fino a quando la vita non torna a presentarti il conto. E, in questo caso, è stato un conto particolarmente salato. Apro lo scatolone più vicino. E’ pieno di cianfrusaglie: indumenti, vecchi quaderni ingialliti, portachiavi dalle forme più strane. Niente che mi possa interessare davvero. Mi guardo intorno: il posto è piccolo, ma ci sono tantissimi pacchi e pacchetti accatastati gli uni sugli altri. Ci vorrà tempo, maledizione. Mi armo di pazienza e riprendo la mia ricerca. A un certo punto mi ritrovo tra le mani una cassettina metallica di colore rosso. Incuriosito, sollevo il coperchio e rovescio a terra il contenuto. Sono decine, forse centinaia di fotografie. Voglio osservarle tutte, una per una, e con estrema attenzione, perché potrebbero aiutarmi a ricostruire il passato di Giorgio e farmi fare un passo decisivo verso la verità. Sono così preso dalla mia scoperta che mi accorgo troppo tardi della presenza di qualcuno alle mie spalle. Non ho il tempo di fare nulla: una mano energica mi preme un panno contro il naso e un forte odore di cloroformio pervade le mie narici. In un attimo tutto diventa confuso come in un sogno e la vista mi si annebbia. L’ultima cosa che vedo prima di perdere i sensi è una figura vestita di nero che mi osserva, mentre mi accascio a terra e le forze mi abbandonano. Lui. L’assassino.
CONTINUA…