Rabbia. E’ questo che provo. Sono furioso con me stesso. L’assassino era a pochi metri da me, e io non sono stato in grado di fare nulla. Ho lasciato che se ne andasse via, così, senza neppure tentare di fermarlo. E adesso Lui ucciderà ancora. Certo, era armato e sono stato fortunato a uscirne vivo, avrebbe potuto ammazzare tranquillamente anche me. Ma nonostante questo non riesco proprio a darmi pace. Se serve so essere forte e duro con le parole, perché non sono capace di esserlo anche nei fatti? Ho avuto paura. Mentre reggevo a stento il Suo sguardo, avrei voluto sprofondare. Dopo che se n’è andato, non so per quanto sono rimasto lì immobile, senza riuscire a pensare a niente tranne che a Lui. Non si tratta di un uomo, è una creatura emersa dall’Inferno, decisa a portare con sé più persone possibile. Una belva feroce, assetata di sangue e di morte. E’ questo che mi ritrovo a pensare in alcuni momenti. Poi torno in me e mi ripeto che sono stato uno stupido, che mi sono comportato da vigliacco, che avrei dovuto quantomeno provare a bloccarlo. Ma ormai non posso farci niente. Non mi resta che continuare a indagare e cercare di scoprire qualcosa di utile.
Ormai i miei pezzi di cronaca sul Corriere stanno diventando una specie di giallo a puntate che i lettori seguono appassionatamente. Nelle ultime settimane, il numero di copie vendute è raddoppiato. Le persone amano le storie di morte. Fino a quando protagoniste di queste non diventano loro. Il direttore ha proposto di farmi avere un posto fisso alla sezione cronaca nera, promettendomi anche un aumento di stipendio. Insomma, professionalmente parlando avrei di che essere soddisfatto. Ma umanamente non lo sono neanche un po’. So che potrò tornare a guardarmi allo specchio senza provare vergogna solo se riuscirò a trovare “Il Giudice” e a metterlo nelle condizioni di non nuocere più a nessuno.
L’ultima vittima è don Ignazio Sorba, un prete avanti negli anni e, a detta di molti, non particolarmente sano di mente. Decido di ripartire da lui. Suono il campanello della canonica dove viveva. Dopo diversi tentativi, finalmente una donna piuttosto anziana mi apre. E’ la perpetua. Mi guarda diffidente, mi chiede cosa voglio, credo abbia anche un po’ di paura. Sfodero la voce più dolce che ho e le parole più gentili, cerco di convincerla a farmi entrare, ho bisogno di farle qualche domanda. Alla fine accetta e mi fa accomodare in salotto. La casa è molto povera e sa di vecchio e di chiuso. I mobili sono coperti di polvere, mentre il soffitto è un mosaico di muffa e ragnatele. Da sempre gli ambienti in cui mi trovo e la loro atmosfera influenzano il mio stato d’animo e in questo caso, come se non fossi già abbastanza cupo, mi sento assalire da un’ondata di malinconia. Ma non sono qui per soffermarmi sull’arredamento. Ho un compito preciso da svolgere e una verità da scoprire. Comincio a interrogare la perpetua. E’ ancora sospettosa, evita il mio sguardo e più che parlare borbotta tra sé e sé, per cui capirla mi riesce difficile. Le chiedo di visitare la camera da letto di don Ignazio. Lei, incerta, alla fine mi accompagna e se ne va. Perfetto, proprio quello che volevo. Mi dirigo verso lo scrittoio e comincio a frugare tra i cassetti. Sotto una montagna di carte e vecchie riviste religiose, c’è un diario. Il diario degli ultimi anni di vita di un vecchio sacerdote reso folle dai propri rimorsi. Lo apro. La grafia è nervosa e la sintassi è sconnessa, ma è tutto sufficientemente chiaro. Ho bisogno solo di una conferma, e per averla so dove devo andare.
E’ sempre straordinario, il Duomo. La prima volta che l’ho visto sono rimasto mezz’ora davanti alla facciata, a osservarne ogni dettaglio per cercare di imprimermelo nella mente. Anche adesso non posso fare a meno di pensare a quanto sia stato incredibile aver costruito una simile struttura con i mezzi del passato. Entro e mi avvicino a uno dei confessionali. E’ occupato. Meglio, così avrò un po’ di tempo per riflettere e riordinare le idee. Chiudo gli occhi e mi concedo un respiro profondo. Il killer uccide e amputa alle sue vittime una precisa parte del corpo. Lo fa per vendicarsi di qualcosa, di un torto che secondo Lui le vittime stesse hanno commesso nei Suoi confronti. Più mi ci immergo, più ho l’impressione che questa storia sia molto più grande di me e che il mio avversario sia troppo superiore alle mie forze. Ma non ci penso neanche a tirarmi indietro, il destino ha voluto che fossi coinvolto nella vicenda sin dall’inizio e non sarò certo io a fuggire. Ormai ci sono troppo dentro, tanto vale andare fino in fondo.
E poi c’è anche il mio amico Giorgio a chiedermelo…
La porta del confessionale si apre. Tocca a me.
-Buongiorno padre Alberto, non sono qui per confessarmi, ma il motivo della mia visita è ugualmente importante
-Dimmi pure, ti ascolto
-Ho trovato il suo nome nel diario di don Ignazio. So che lei era il suo confessore e per questo conosce quali tormenti agitavano la sua mente. Qual è l’errore di cui parla? Deve aiutarmi, la prego, è molto importante
-Chi sei?
-Sono Jordan Raggi, giornalista del Corriere, e sto cercando di evitare che altre persone facciano la fine di don Ignazio. La prego, risponda alla mia domanda
-Mi creda io vorrei poterle essere utile, ma non posso farlo, sono vincolato dal segreto confessionale. Qualunque cosa i penitenti affermino qui dentro, non può essere rivelata
-Anche se c’è in ballo la vita di altre persone?
Padre Alberto tace per dei secondi che sembrano un’eternità.
–Sì, mi dispiace
-Si sta rendendo complice di un assassino, e per quanto ne so la prossima vittima potrebbe anche essere lei!
-La prego di parlare con un tono di voce consono a questo luogo! Le ripeto che il sigillo sacramentale è inviolabile e se non ha altro da dire, lasci posto ai fedeli che aspettano qui fuori
Non ho avuto la conferma diretta dei miei sospetti, come avrei voluto, ma l’atteggiamento di padre Alberto in qualche modo ha convalidato la mia ipotesi. Don Ignazio da giovane si era macchiato di una grave colpa, che si è portato sulle spalle tutta la vita e che è anche la ragione della sua condanna a morte. Ha allungato le mani su un ragazzino, forse ha avuto anche diversi rapporti sessuali con lui. Nessuno dei due è riuscito a dimenticare: il prete ha vissuto nel rimorso, il bambino, che in seguito deve aver subito altri soprusi da altre persone, è cresciuto nell’odio ed è diventato “Il Giudice”. Ora, per salvare le future vittime e fermare questa terribile scia di sangue, devo assolutamente scoprire chi era quel ragazzino.
Esco all’aria aperta e contemplo i rossi riflessi del tramonto che accarezzano i profili delle case. E’ uno spettacolo incantevole, che però non riesco a godermi fino in fondo. Due volanti dei carabinieri si stanno dirigendo nella mia direzione a sirene spiegate. E credo di sapere perché.
CONTINUA…