Il cielo piange. Ancora. E’ tutta la notte che piove, ma sembra non avere la minima intenzione di smettere. Grosse nubi incombono cupe sulla città, che lentamente prende vita e si prepara a un’altra giornata di noia, frustrazioni e sofferenze. Fa freddo, e anche stamattina il colore è uno solo: il grigio. Ho sempre odiato le giornate di questo tipo, sin da quando ero piccolo, e le cose non sono cambiate negli anni. Eppure, nonostante la pioggia, la temperatura rigida e l’inevitabile malinconia che i grigi si portano dietro, Milano per me oggi profuma di qualcosa. E questo qualcosa ha vari nomi: si chiama speranza, si chiama novità, si chiama, finalmente, futuro.
Sono Jordan Raggi, ho 27 anni e da quattro mesi a questa parte la mia vita è totalmente cambiata. Ce l’ho fatta. Sono riuscito a realizzare il sogno che ho sempre coltivato: sono diventato un giornalista, un giornalista vero. Mi hanno preso al Corriere della Sera. Quando ho firmato il contratto, non ci potevo credere. Sono sempre stato bravo a fantasticare e nella mia vita credo di aver viaggiato molto di più con la mente che con il corpo. In quel momento, mentre scrivevo il mio nome sulla carta, mi sembrava di essere nel bel mezzo di uno dei miei viaggi immaginari. Invece, no, mi hanno assunto sul serio. E non certo per caso. Prima ero un freelance, lavoravo da solo, per chi capitava, per chi comprava i miei pezzi, e facevo i salti mortali per arrivare alla fine del mese. Poi ho avuto la mia occasione. Un’inchiesta clamorosa conclusa dopo mesi di lavoro, pubblicata a puntate sul principale quotidiano della provincia di Padova. Una serie di verità scomode portate alla luce proprio nella mia cittadina, Este, dove sono cresciuto. Uno scandalo senza precedenti nella zona, una visibilità enorme anche sul piano nazionale. E infine, un pomeriggio, quella telefonata. Un nuovo inizio. L’alba di un sogno audace ed emozionante. Un posto da cui ripartire lasciandosi alle spalle anni di amarezze, delusioni e ricordi tristi. Tutto ciò che ho sempre desiderato.
Chiudo la porta di casa e mi avvio con calma. Stamattina, prima di raggiungere la redazione in via Solferino, devo vedere una persona al Caffè Incontro. E’ una mia fonte, una delle prime fonti con cui sono entrato in contatto da quando sono al Corriere. Si chiama Giorgio Santi, lavora come impiegato in banca, è vicino alla pensione e mi sta fornendo il materiale per un’altra inchiesta da prima pagina. C’è una cosa che ho imparato in fretta facendo il mio mestiere: non serve inventare niente, in questo Paese di scandali da denunciare ce ne sono a bizzeffe. Basta solo avere l’incoscienza e la faccia tosta per scavare e portarli alla luce. Io ne ho in abbondanza, dell’una e dell’altra. E quando scrivo, guardo solo a una cosa: la verità. Prima o poi mi caccerò nei guai in questo modo, ma dopo quello che ho vissuto in passato non c’è più niente che mi spaventa. Una volta ero pieno di paure. Mi bloccavano, mi paralizzavano, mi impedivano di fare qualsiasi cosa. Poi il tempo, gli eventi e le persone mi hanno costretto a cambiare. Ora sono libero, forte e duro, con me stesso e con gli altri. Se per caso ho la tentazione di addolcirmi un po’, i segni incisi sulla mia pelle mi ricordano che ogni volta che l’ho fatto l’ho pagato caro, e così torno subito a indossare la mia maschera. Freddo, apatico, imperturbabile. Insensibile alla gioia così come al dolore.
Il mio cappuccino è finito da un pezzo. Sono dieci minuti ormai che sono seduto da solo al Caffè ad aspettare il mio contatto. Strano, perché di solito non è mai in ritardo. In genere quando arrivo lui è già lì ad attendermi. Ma prima o poi, per ognuno di noi, c’è sempre una prima volta, in tutto. Evidentemente questo sarà il primo e forse l’unico ritardo di Giorgio Santi in tutta la sua vita. Decido di approfittare del tempo che ho a disposizione per svuotare la vescica. Non ho avuto il tempo di farlo prima di uscire di casa. Poco male, la toilette dell’Incontro è pulitissima. Ma oggi per me c’è una drammatica sorpresa.
Anche stamattina era puntuale. Anzi, probabilmente era arrivato in anticipo. Giorgio adesso si trova lì, sul pavimento del bagno, disteso in un lago di sangue, orrore e morte. Mi guarda con gli occhi sbarrati e ormai privi di vita, come se mi stesse rimproverando per il mio, stavolta imperdonabile, ritardo. Perché se io fossi arrivato all’orario prestabilito, lui forse ora sarebbe ancora vivo.
Non è un film, uno scherzo o uno dei miei stupidi viaggi mentali. E’ la terribile realtà, ben più crudele di ogni perversa fantasia. Rimango immobile, muto e impotente di fronte a questa tragica manifestazione della ferocia umana. Non avevo mai visto un morto prima d’ora, eccetto mio nonno. E soprattutto non avevo mai visto una vittima di morte violenta. E’ orribile. Per qualche minuto non riesco a pensare né a fare niente. Continuo a fissare la persona con cui dovevo parlare, che fino a mezz’ora fa era viva e adesso non lo è più perché qualcuno l’ha brutalmente uccisa. Per la prima volta dopo tanto tempo sento il bisogno di urlare, di rompere gli schemi, di spezzare la corazza e liberare le mie emozioni, il mio sgomento, la mia disperazione. Faccio uno sforzo incredibile, riesco a mantenere l’autocontrollo. Con mano tremante, afferro il cellulare e avverto i carabinieri. Respiro. La mia fronte è imperlata di sudore freddo. La finestra è aperta e una ventata di aria gelida mi fa rabbrividire. O forse non è il freddo, ma il macabro spettacolo che mio malgrado mi trovo a contemplare. Il mio sguardo si posa di nuovo su quel che resta di Giorgio. Le sue orecchie sono accanto a lui, tranciate di netto. Sotto c’è una busta gialla. Lo so, non dovrei farlo, ma la tentazione è troppo forte e non so resistere. Indosso i guanti e sfilo la busta. Le mani, nonostante i miei sforzi, non vogliono smettere di tremare. La apro. Dentro un foglio bianco, e poche, inquietanti parole scritte a penna, in corsivo:
Io ti condanno perché non mi hai voluto ascoltare
Mentre il suono delle sirene si fa sempre più forte, risistemo la busta dove l’ho trovata e mi abbandono per terra, appoggiando la schiena al muro del bagno. Mi sento debole, fiacco, svuotato di ogni energia. Attonito, sbigottito, smarrito, frastornato, come se avessi appena scoperto una verità troppo pesante da portare. Sento delle voci, e dei passi frettolosi che si avvicinano. Un pensiero assurdo e tremendo si affaccia improvvisamente nella mia mente.
Questo non è che l’inizio. Si tratta solo della prima Jordan, la prima di tante condanne. Lui colpirà ancora. E lo farà presto.
CONTINUA….