L’equilibrio dovrebbe essere precario solo in due categorie di persone: nei bambini, che faticano a tenersi in piedi perché all’inizio del loro cammino, e negli anziani, che necessitano del sostegno di un braccio amico o di un bastone perché portano sulle spalle tutto il peso del loro percorso. Eppure l’abbinamento al termine “precarietà” che viene più spontaneo fare oggi, nel 2013, è quello con la parola “giovani”, l’unica categoria che, a rigor di logica, dovrebbe essere esclusa a priori dalla questione. Si è infatti registrato in quest’ultimo periodo un picco storico della disoccupazione giovanile italiana, giunta al 38,7%, mentre i precari hanno raggiunto quota 2,8 milioni, dati mai stati peggiori dal 1992. Ma non è la statistica a giustificare una sensazione comune: ciò che più fa riflettere sono i numeri che possiamo toccare con mano. A questo proposito, è di questa settimana la notizia che la Cementizillo, la cementeria del comune atestino, non taglierà sui posti di lavoro ma si “limiterà” a ricorrere alla Cassa Integrazione per ridurre i danni provocati dalla crisi economica all’azienda; la situazione non è migliore alla casa di riposo, dove i dipendenti lamentano l’eccessivo ritardo nelle retribuzioni.
Il terreno ci crolla sotto ai piedi in modo figurato e non: a causa delle abbondanti precipitazioni, si sono verificate numerose frane nel territorio dei Colli Euganei, in particolare lungo il tratto di strada che porta a Calaone, in quello tra Castelnuovo e Torreglia e nel colle della Rocca di Monselice, causando disagi agli automobilisti e agli abitanti della zona, senza contare le problematiche di tipo geologico-strutturali.
Come peculiarità più strettamente italiana, la nostra precarietà sociale-culturale-ideologica si riflette nel contesto politico. Abbiamo assistito la settimana scorsa al dibattito sulla scelta del Presidente della Repubblica, su cui si sono contrapposti tra loro non solo gli schieramenti politici, ma addirittura gli appartenenti ad uno stesso partito, portando alla frantumazione di un già diviso (e deludente) Partito Democratico. Dopo 5 votazioni in cui hanno dominato schede bianche e nulle, le Camere riunite hanno eletto Giorgio Napolitano, convinto a una ricandidatura dalla tragicità della situazione attuale e da un senso di responsabilità estraneo alla maggior parte dei nostri politici. Un’ancora di salvezza da una parte, un segno chiaro di immobilità dall’altra: abbiamo bisogno di fondamenta più solide per ricostruire tutto ciò che vi abbiamo posto sopra.
Quello che ci si prospetta davanti è un mondo traballante, incerto, non più inquadrabile in coordinate fisse e condivisibili da tutti: è il regno del relativismo e dell’individualismo, in cui non esiste più una morale o una corrente ideologica comune in cui riconoscersi. L’economia è dominata dall’instabilità della finanza e dagli alti e bassi dei titoli e dei rendimenti, tanto da rendere qualsiasi previsione pressochè impossibile. Un simile momento è il peggiore in cui prendere una decisione per il proprio futuro, che appare ai giovani d’oggi oscuro, nebuloso ed insidioso. Non esistono più né il lavoro, né l’università che assicurino non tanto il successo, quanto semplicemente una mediocre sicurezza economica.
Ci rimane la speranza di un miglioramento e la persuasione di dover scegliere ciò per cui ci sentiamo naturalmente portati; il sacrificio e il martirio per qualcosa che non sentiamo nostro possiamo pure lasciarli ad altre epoche. Compriamoci buone scarpe e continuiamo a camminare, qualunque sia la strada.
Valeria Ferraretto
Complimenti, davvero complimenti all’editorialista, una penna giovane e davvero promettente, un’argomentazione brillante e convincente, una documentazione zelante e puntuale. È stato davvero un piacere leggere questo editoriale scritto da chi non ha nulla da invidiare a penne professioniste (anzi, direi che è migliore di alcune, nel panorama contemporaneo…). Dò però una mia opinione: il relativismo non va condannato ed equiparato all’individualismo, relativizzare è secondo me meglio di generalizzare, è meglio di vivere con una morale ingessata e ragionare per assoluti; se non si relativizza si assolutizz e si giudica, è inevitabile. Se non si relativizza ci si erge a censori, si crede di avere la verità in tasca. E si crea ingiustizia e diseguaglianza. Relativizzare aiuta a contestualizzare, a comprendere, a valutare e quondi a dialogare e proporre. Ancora i miei migliori complimenti e i più speranzosi auguri alla splendida autrice. Articoli così danno voglia di sperare in un’informazione migliore, oggi già è qui, domani portatela ovunque!
Grazie mille Andrea, sappiamo che è dura ma cerchiamo sempre di dare il massimo. Se vogliamo un Paese migliore, anche l’informazione deve cambiare. Noi proviamo a farlo, consapevoli dei nostri limiti ma anche del nostro entusiasmo e della nostra voglia di tornare a sperare ancora. Ciao!
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