Qualcosa di profondamente inquietante sta avvenendo in Italia. Gli imprenditori annaspano nella crisi e si suicidano, esasperati da uno Stato che non paga i debiti e li soffoca a suon di tasse. I lavoratori vengono licenziati e in un attimo il loro mondo si sgretola. Alle difficoltà economiche si sommano quelle personali: perdono casa e famiglia, e si trasformano in relitti che vagano qua e là senza più speranza né dignità. I giovani sono allo sbando: apatici, indifferenti e disinteressati, non lottano e non hanno obiettivi, si accontentano della mediocrità, vivono alla giornata. Ogni tanto qualcuno, per i troppi bocconi amari ingoiati, dice basta. La ragione si arrende alla follia. La frustrazione diventa rabbia, la rabbia si trasforma in furia omicida. E così succede che si spari contro una sede di Equitalia, oppure che si prenda il treno, si vada a Roma e si apra il fuoco di fronte a Palazzo Chigi. Sono segnali evidenti di una situazione sempre più esplosiva e di una società percorsa da tensioni pericolose, che i rappresentanti delle istituzioni in un Paese normale non possono ignorare. Tutti se ne sono resi conto. Eppure sembra che la nostra classe dirigente, a conferma di quanto sia lontana dalla realtà quotidiana delle persone, non si sia accorta di nulla.
Sono trascorsi oltre due mesi dall’ultima tornata elettorale e solo in questi giorni siamo riusciti ad avere un Governo. Due mesi durante i quali dentro le stanze del Palazzo non si è fatto altro che discutere di poltrone, alleanze e favori reciproci, mentre fuori la situazione del Paese reale si aggravava ulteriormente. Non si è riusciti nemmeno a trovare un accordo per eleggere un nuovo Capo dello Stato e così riecco Napolitano, che avrebbe preferito finalmente godersi la pensione e invece è stato costretto a restare, caso unico nella storia della Repubblica. Perfino la Chiesa, che nella storia non è mai stata un modello per velocità d’azione, ha accelerato i tempi e dopo le dimissioni di Ratzinger nel giro di un paio di settimane ha individuato un successore (e che successore!). La politica cos’ha fatto? Niente. Chiacchiere e aria fritta. Chi pensava che avrebbe vinto e non ha vinto, con una serie incredibile di errori e orrori di ogni tipo ha dimostrato di non essere assolutamente in grado di guidare il Paese in un momento così delicato. Chi aveva detto che sarebbe uscito di scena e non lo ha fatto, preferendo tornare in campo a venderci le sue bugie, si è guadagnato un’altra chance di scampare ai processi che lo attendono. Chi ha tanto urlato e insultato la Casta dalle piazze di tutta Italia, ha giocato a fare il blogger con qualche slogan ad effetto invece di contribuire a sbloccare la situazione. Risultato: sessanta giorni persi. Sessanta giorni in cui si potevano e dovevano fare tante cose, e invece non se n’è fatta nemmeno una.
Adesso che è stato faticosamente costruito un Governo, si affrontino subito le questioni urgenti. C’è un Paese da salvare, un Paese che, dilaniato dalle tensioni sociali e dall’emergenza economica, sta sprofondando a tutta velocità verso il punto del non ritorno. Occorre voltare pagina. Serve un ritorno alla bella politica, quella sana, quella vera, capace di far scaldare i cuori, di suscitare emozioni, di muovere la gente. Una politica di proposta e non più di protesta, che risolva i problemi, che tagli sugli sprechi e sui privilegi, non sul nostro futuro. Una politica onesta e pulita, capace di restituire alle persone la capacità di sperare e a credere in qualcosa. Idealismo? Forse. Ma alla base di grandi azioni ci sono sempre grandi idee. E recuperare i valori che abbiamo perso è l’unica strada da seguire se vogliamo sottrarci a una lenta e dolorosa agonia. Cari politici, non c’è più tempo da perdere. Assumetevi le vostre responsabilità e governateci. Temporeggiare ancora potrebbe essere fatale per tutti. Anche per voi.
Davide Permunian