Palazzi

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Nei sobborghi di quella città la ferrovia sopraelevata separava due grigi palazzotti costruiti ed abitati con la fretta di cui solo le grandi metropoli possono vantarsi. L’ottavo piano di ciascuno di essi si affacciava sui binari e i treni che vi sfrecciavano lanciavano ombre sinistre negli appartamenti ai lati. L’interno 87 del palazzo di sinistra era stato dato in affitto a un tale Cosimo, giovane squattrinato presunto artista. Al di là delle rotaie si affacciava la camera da letto della bella Monica, una maestra d’asilo dal sorriso leggero e gli occhi infiniti. I due non si conoscevano e l’unica cosa che condividevano erano quei rumorosi binari che separavano i loro davanzali.

Cosimo non potendo sottrarsi alla genetica dell’artista era un appassionato sognatore. Di temperamento piuttosto solitario amava definirsi uno spirito notturno, preferendo la tenerezza della luce lunare all’arroganza dei raggi del sole. La sua propensione naturale alla solitudine gli permetteva inoltre una certa libertà: da soli si è molto più liberi di essere se stessi. Beveva più di quanto volesse ammettere ed era facile ai vizi come un cane all’osso, tuttavia mai avrebbe sfidato i suoi limiti per paura di poter perdere quella libertà che gli permetteva di essere l’artista che era: libero, riflessivo e sincero.

Monica sarebbe stata la moglie perfetta per chiunque. Bellissima, paziente e dotata di quell’intelligenza sublime che riesce a rendere tutto più semplice. Brillava di una luce pura a cui nessuno poteva rimanere indifferente, tanto radiosa da ispirare la fiducia e la simpatia di tutti. Non amava la solitudine, tuttavia, nonostante fosse sempre circondata da persone cordiali, non era mai riuscita a instaurare legami profondi con nessuno. Contava mille e più tra conoscenti ed amiche su nessuna delle quali, però, contava veramente. Era quella sorta di luce ammaliante che se da un lato attirava e ammaliava, dall’altro abbagliava a tal punto da impedire di studiarne la fonte. Era stata educata a non desiderare più di quanto viene concesso e a saper accettare anche le ingiustizie. Si era così rassegnata ad abbracciare una vita di facciata, adeguandosi all’idea che la sua solitudine fosse una condanna alla quale non avesse scampo.

Era sera quando i loro sguardi si incrociarono per la prima volta.

Monica era seduta sul bordo del letto, avvolta in un asciugamano con la pelle ancora fumante e i capelli bagnati sciolti lungo le spalle. Si levò lentamente in piedi lasciandosi scivolare addosso l’umido telo che la copriva. Cosimo si stava lavando le mani incrostate di pittura quando alzò lo sguardo oltre la finestra e vide di fronte a se quel corpo perfetto sfavillare come una lanterna nel buio: lontana, delicata, seducente. Monica si accorse di quegli occhi poggiati sul suo corpo ma non volle coprirsi. I due si osservavano immobili, ciascuno ai lati opposti di quei binari ora tanto silenziosi. Cosimo scoprì una luce mai vista; trovò in quel corpo lontano il riflesso della più sincera delle intimità, un aurea amorevole, un abbaglio di divinità: lui che non credeva in alcun dio, improvvisamente capì la fede. Capì di non essere sufficiente a se stesso e che l’abbandono ad un’intimità più grande e all’infuori di sé costituisca il conforto più vivo, capì che d’ora in avanti la sua libertà non sarebbe più bastata a consolare il suo cuore, capì di non poter più rimanere da solo. Dalla parte opposta Monica stava in piedi, nuda e magnifica. Quegli occhi sconosciuti poggiati su di lei non la spaventavano affatto: brillavano di sincera venerazione e per la prima volta sentì che qualcuno era arrivato a cogliere la sua essenza più profonda. Quella presenza estranea non turbava affatto la sua intimità ed anzi la completava perfettamente. Lei che pur odiando la solitudine non aveva mai provato la vera compagnia, scoprì in uno sconosciuto la magnificenza dell’intesa.

La potenza di quello sguardo bastò per rovesciare le loro esistenze: Cosimo, romantico amante della propria libera solitudine, si ritrovò d’improvviso schiavo d’amore; Monica che per tutta la vita non si era rivelata a nessuno, scoprì in quegli occhi sconosciuti il riflesso della sua più intima essenza.

Il treno fischiando sopraggiunse veloce interrompendo quel momento perfetto, suggellando in uno sferragliare metallico un amore perfetto.

 Matteo Targa