È possibile convertire il classico in moderno senza cadere nel banale? Poco più di vent’anni fa è successo, e Manhattan ha fatto da sfondo a quattro jazzisti intenzionati pronti a reinventare le regole del jazz.
16 dicembre 1989 grazie ad un’iniziativa del batterista Lenny White, volenteroso di trasformare grandi classici del jazz tradizionale in arrangiamenti fusion basati su accordi sassofono/pianoforte e con l’uso calibrati di sintetizzatori, iniziò quest’ avventura musicale.
Il concetto di “The Manhattan Project” era quello di modernizzare alcuni noti brani del repertorio jazzistico, tramite sempre il classico quartetto jazz però con un impronta più innovativa.
Il progetto era audace e richiedeva la partecipazioni dei migliori musicisti jazz in circolazione. Le scelte non furono difficili.
Blue note interessata all’idea, riunì negli studi di Chelsea di New York alcuni dei più illustri musicisti jazz/fusion, per una registrazione live di “The Manhattan Project” con un fortunato pubblico.
I musicisti invitati variavano del jazz tradizionale di Petrucciani con il suo piano, all’unione artistica di lunga data tra Lenny White e il bassista Stanley Clarke.
Dal quintetto di Miles Davis fu contattato Wayne Shorter per fraseggiare al sax tenore e soprano. Gil Goldstein & Pete Levin invece furono incaricati alle tastiere per creare un’ambiente ancor più fusion.
Per White e Clark questo contesto era abbastanza normale, grazie alla comune esperienza con Chick Corea in “Return to Forever”, ed anche per Shorter non si trattava di una novità, nota l’esperienza con i Weather Report.
Desta meraviglia l’adattamento di Petrucciani in un contesto totalmente lontano dalle proprie esperienze, ma grazie alla sua versatilità riesce perfettamente ad inserirsi nel contesto, mostrando un lato tecnico del suo pianismo da vero professionista.
Nell’album gli arrangiamenti vengono eseguiti in maniera perfetta, dalla disinvoltura con cui Clarke passa dal contrabbasso al suo amato Alembic, passando dai fraseggi tra Shorter e Petrucciani che destano meraviglia per la tecnica utilizzata (come in “Dania” di Jacopo Pastorius), fino all’uso perfetto ed equilibrato delle tastiere di Gil e Pete.
I pezzi proposti sono otto, e comprendono composizioni di White, Petrucciani, Shorter, Pastorius e l’indimenticabile “Summertime” del grande maestro Gershwin.
Un insieme di improvvisazione, sperimentazione e amore per il jazz sono gli ingredienti di questo grande progetto portato avanti da musicisti pronti sempre a mettersi alla prova.
Un album che trova la propria forza in una collaborazione artistica che ha dato vita a una un progetto irresistibile per gli amanti del jazz, trasmettendo emozioni sperimentando. Risultano non semplice da raggiungere ma con dei fenomeni agli strumenti tutto è possibile.
La vita è un po’ come il jazz, viene meglio quando si improvvisa.
Travain Marco
1) Old Wine, New Bottles (Lenny White)
2) Dania (Jaco Pastorius)
3) Michel’s Waltz (Petrucciani)
4) Stella By Starlight (Victor Young)
5) Goodbye Pork Pie Hat (Charles Mingus)
6) Virgo Rising (Wayne Shorter)
7) Nefertiti (Wayne Shorter)
8) Summertime (Gershwin)
http://www.youtube.com/watch?v=YvVxW6zD9Iw