Intervista ai Gazebo Penguins, l’antidoto al sonno se è finito il caffè

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Fonte foto: https://www.facebook.com/gazebopenguins/photos_stream?tab=photos_stream

“E’ facile, è troppo facile non scegliere per niente”

Capra, Peter e Sollo invece hanno scelto. Hanno scelto di provare, nel lontano 2004, a dare vita a un’ entità dal curioso nome Gazebo Penguins, che con le sue schitarrate energiche e i testi semplici ma incisivi continua da dieci anni a rappresentare una delle colonne portanti del panorama hardcore italiano.

Davanti a un pubblico sempre partecipe e pronto a saltare e a alzare le braccia per vari e non eventuali stage diving, propongono brani lineari, corposi, travolgenti e vivaci, caratterizzati dalla tipica voce urlata che si mischia a quella entusiasta degli spettatori.

Dopo un primo album in Inglese i tre decidono di prendere la direzione dell’italiano e producono Legna nel 2011 e Raudo nel 2013, più una serie di Ep, rimanendo sempre fedeli al proprio stile e all’indole spontanea e diretta che nei live emerge senza riserve.

Al Mame Club i ragazzi del Rise Festival, organizzatori del concerto dei Gazebo svoltosi il 12 Ottobre, mi hanno permesso di intervistare Capra, chitarrista e seconda voce del coinvolgente trio emiliano.

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Fonte foto: https://www.facebook.com/risefestivalpadova?fref=ts

Facciamo un salto temporale al 2004, quando vi siete formati a Correggio. Con che aspettative siete partiti?

“Prima di formare i Gazebo Penguins suonavamo già da un po’ e il nostro sogno era di diventare un gruppo importante e fare la musica più bella del mondo, ma poi ci siamo resi conto che non era possibile e che dovevamo concentrarci sul fare semplicemente quello che piaceva a noi. Da lì abbiamo avviato i Gazebo Penguins come costola più divertente e rilassata di un altro gruppo che avevamo”.

Com’è cambiata la scena musicale dal 2004 ad ora?

“In quegli anni ci siamo trasferiti in una stalla adibita a sala prove, che chiamavamo “L’Igloo”, dove abbiamo cominciato a fare concerti, sia nostri che di altre band. Circa una volta ogni due mesi organizzavamo live con gruppi da tutta Italia e anche esteri. Era diventato un punto di riferimento, teneva al massimo un’ottantina di persone e ogni serata era un successo. Sono passati circa sessanta-ottanta gruppi di cui qualche tempo fa, incuriosito, ho ripreso la lista, per scoprire che più della metà ora si sono sciolti. Siamo stati molto fortunati a resistere, ad esserci ancora dieci anni dopo, ad avere la stessa voglia di suonare”.

Questo come mai secondo te? Cosa vi ha permesso di rimanere? Avete mai pensato di sciogliervi?

“Sinceramente non sono mai riuscito a darmi una risposta! Forse la fortuna, l’amicizia che ci legava già da prima di cominciare a suonare o il crederci di più di altri. Ogni scioglimento ha le sue dinamiche, una storia a sé. C’è chi si scioglie perché non gli piace più il genere che fa, perché è diventato genitore, non ha più voglia di suonare, perché ha trovato un altro gruppo con cui si trova meglio, perché non ha più una sala prove o per problematiche tra i membri. Abbiamo passato molti litigi ma non è mai successo di prendere in considerazione l’idea di scioglierci”.

Riuscite a vivere di musica?

“Io faccio questo, poi ovviamente devi accontentarti. Ho preferito scegliere di non avere uno stipendio esagerato e di rinunciare a molte cose per fare quello che mi piace”.

Come mai dal primo album in inglese avete scelto di indirizzarvi verso l’Italiano?

“In sala prove cantavamo sempre un po’ a caso quello che capitava. Avevamo otto canzoni, che poi sono finite in Legna, metà in italiano e metà in inglese, ma per il desiderio di rischiare e di scegliere l’opzione più interessante abbiamo optato per l’italiano”.

Qual è il filo conduttore dei vostri testi? Che immagini e concetti volete passare all’ascoltatore?

“L’ultimo disco, Raudo, c’entra molto con la casa e ha tutto un retrogusto domestico. Case che lasci, che non trovi, case nel paese in cui sei nato, case in cui devi tornare dai genitori perché la tua vita è andata male, case da cui e in cui traslocare, cercare di cambiare vita cambiando casa, i mobili che osservi e che ti fanno pensare. Questo filo sotterraneo della domesticità è molto presente e l’abbiamo scoperto a posteriori”.

Perché avete deciso di diffondere i dischi gratuitamente sul web?

“Perché un disco ci impegna tantissimo a livello economico, di tempo e energie e regalarlo secondo noi è il modo per dargli il massimo valore possibile”.

Rise Festival: https://www.facebook.com/risefestivalpadova?fref=ts

Gazebo Penguins: http://www.gazebopenguins.com/raudo/

Sara Berardelli