Intervista agli UNCLEDOG – Il rock che infiamma Padova

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Fonte foto: https://www.facebook.com/pages/UNCLEDOG/45980679199?sk=photos_stream

Gli UNCLEDOG sono cinque ragazzi, Nicolò Garavello (voce e seconda chitarra), Emmanuele Salin (basso), Mauro Carrara (chitarra), Luca Mattiello (batteria) e Manuel Fiorasi (tastiere) che dal 2007 si impegnano con costanza per inseguire i loro obiettivi. Una sera mi hanno invitato nella loro saletta a Solesino dove ho avuto l’occasione di intervistarli. Tra i racconti di aneddoti divertenti e delle loro disavventure in giro per il mondo a bordo di un furgoncino, gli Uncle mi hanno spiegato cosa significa registrare un disco all’estero, fare un tour, essere sotto un produttore e molti aspetti interessanti della vita dell’aspirante musicista. Ecco cosa è emerso dalla chiacchierata con la band.
Cos’è il progetto UncleDog? Com’è nato e come si sta evolvendo?
Risponde Nicolò: “Il progetto prende vita a metà del 2007, ma è il 26 Gennaio 2008 che inaugura ufficialmente il suo inizio con il live all’ex Sottosopra. Abbiamo deciso fin da subito di concentrarci sulla musica originale, producendo i primi tre Ep, demo molto casalinghi, fino al momento della svolta: l’arrivo di una mail su myspace dalla produttrice americana Sylvia Massy, che ha lavorato con artisti del calibro di Red Hot Chili Peppers, Tool e Aerosmith. A settembre 2010 siamo andati in studio in California e in un mese abbiamo registrato l’Ep Face on the floor. Al ritorno abbiamo fatto quasi 40 date in un anno, all’interno delle quali abbiamo iniziato un tour purtroppo smorzato da un incendio.”
Prende la parola il chitarrista per raccontare l’accaduto: “Durante questo tour, reduci da date in Russia, Ucraina e Slovacchia, il furgone con cui ci stavamo spostando ha preso fuoco mentre eravamo fermi ad un distributore di benzina, per fortuna siamo riusciti a salvare la maggior parte degli strumenti ma non avendo più un mezzo di trasporto abbiamo dovuto interrompere le date.”
Dopo avermi mostrato un passaporto bruciato, reperto dell’incendio, e raccontato di altri aneddoti su sfortune e infortuni dei componenti del gruppo, il bassista racconta di come si sono risollevati dal brutto episodio e dell’inizio della stesura del nuovo album da poco uscito, Russian Roulette.
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Avete iniziato a collaborare con Pietro Foresti, cosa significa lavorare con un produttore?
Il chitarrista racconta:“Sylvia ci ha dato il contatto di questo produttore, Pietro Foresti con cui siamo entrati in collaborazione dal 2011. Lo abbiamo conosciuto in un momento in cui avevamo un blocco dal punto di vista compositivo ed eravamo demoralizzati a causa di varie sfortune. Pietro ci ha fatto capire come ragionare da band in modo professionale, senza imposizioni e costrizioni e ci ha dato degli spunti nuovi nel modo di comporre”. Il bassista aggiunge “Questo disco infatti è sicuramente più uniforme, maturo e anche commerciale. In realtà la commercialità non è detto che sia scontata come quella che senti alla radio, è stato un cambiamento spontaneo che non ci ha snaturato.”
Com’è avvenuta la registrazione dell’album da poco uscito, “Russian Roulette”?
Nicolò racconta: “Siamo andati in un agriturismo in Toscana, in mezzo ai colli. Pietro teneva molto a questo aspetto e ha preferito proporci una location diversa da uno studio di registrazione vero e proprio, in cui sentirci più a nostro agio” Il tastierista spiega che hanno optato per la registrazione in presa diretta, fatta eccezione per qualche ridefinizione della voce e degli assoli di chitarra. “Abbiamo scelto questo accorgimento” continua il batterista “per fare in modo di risultare il più autentici e naturali possibile. Rispetto all’Ep registrato in America, con suoni perfetti e pompati, se ascolti Russian Roulette è come poi ci senti ai live. Inoltre la presa diretta permette di sentire di più la coesione, la grinta, la foga del suonare insieme.”
Com’è stata l’esperienza di registrazione californiana rispetto a quella Italiana?
Il tastierista: “Quello che cambia è la professionalità, in America ti prendono sul serio, rispettano te come musicista e concepiscono la musica come un lavoro vero e proprio.” Il batterista racconta un piccolo aneddoto per farmi capire la disponibilità e la competenza degli operatori americani. “Eravamo in pausa e uno dei tecnici è venuto a chiederci come procedeva, perché ci vedeva strani. Noi abbiamo fatto notare che di solito suonavamo in cuffia, per cui ci trovavamo un po’ storditi, non essendo abituati a tutta quella confusione. Dopo poco torniamo in studio e tutto il set era sparito, ognuno aveva la sua centralina, con le sue cuffie, dove poter regolare i volumi. In Italia non sarebbe mai successa una cosa del genere, se non a un gruppo di grosso calibro”.
E per quanto riguarda i live?
Il bassista continua: “Anche dal punto di vista della partecipazione del pubblico, cambia tutto. Le persone vengono ad ascoltarti sapendo che in quel locale si suona, se sei bravo ti gratificano, altrimenti non mancano di farlo notare. In più all’estero le cover band a differenza dell’ Italia, sono molto meno apprezzate e frequenti.”
Specifica il chitarrista Mauro: “Poi bisogna distinguere. Questo è successo in Russia e Ucraina, l’est è pieno di un sottobosco di band underground. Lì dopo i concerti ci chiedevano gli autografi, in certi posti c’era bisogno del bodyguard durante i live perché la gente ci saltava addosso, nonostante fosse la prima volta che ci sentivano.”
Durante il vostro percorso vi siete mai pentiti del genere intrapreso? Avete cambiato ascolti e influenze o siete sempre rimasti fedeli allo stampo d’esordio?
Prende la parola Nicolò: “Personalmente credo che il genere che facciamo non sia il nostro ideale ma semplicemente quello che ci viene fuori con spontaneità. Ogni componente della band ha la sua identità musicale precisa che può anche evolversi e cerca di amalgamarla a quella degli altri.”
La scelta dell’inglese da cosa è stata dettata?
Il batterista: “E’ stata una scelta molto dibattuta ma abbiamo pensato che se volevamo avere prospettive all’estero l’inglese era la strada ovvia. Inoltre per il nostro genere è più indicato”. Continua Lele, il bassista: “Per Russian Roulette alcune canzoni erano nate in italiano, ma fare metà e metà voleva dire non essere riconoscibili. Uno dei due brani di riserva arrivati in studio si chiamava “lacrime blu”, che poi non abbiamo registrato.”
Com’è stata la realizzazione del video “Shiver”? Da dove è nata l’idea?
https://www.youtube.com/watch?v=4wMKQSBuNx0&hd=1 ( link del video )
Lele: “Non avevamo idea di cosa fare fino all’ultimo. Il brano, scritto dal batterista, si incentra sul desiderio di evasione dalla routine quotidiana e sulla ricerca del brivido.” continua Luca: “Quando mi hanno chiesto cos’è che mi da un brivido, ho subito pensato a una doccia col ghiaccio. E’ un video diretto, semplice e sbarazzino, il prossimo invece sarà più serio.”
E’ stato difficile conciliare gli impegni musicali a quelli lavorativi e di studio?
Il tastierista: “In maniera esorbitante. C’è il lavoro e la vita privata. Noi alla fine non siamo nessuno ma abbiamo sempre fatto tutto come se fosse il nostro lavoro quindi di conseguenza i sacrifici sono stati tanti. Ci siamo sempre trovati un sacco per comporre e provare, almeno quattro volte alla settimana. Essere in saletta poi è il nostro momento di distacco dal resto, ormai abbiamo questa routine, tutta la nostra vita è incentrata sulla musica, per noi è un impegno lavorativo.”
 
Ringrazio di cuore gli Uncle e auguro loro che l’impegno e la passione che mettono in quello che fanno siano ripagati. Seguiteli alla loro pagina facebook: https://www.facebook.com/pages/UNCLEDOG/45980679199?sk=photos_stream
 
Sara Berardelli