I GramLines sono uno dei gruppi fondatori dei Sotterranei, collettivo di band padovane creato da circa un anno con l’intento di promuovere un’ideale di musica puro, indipendente e volto alla valorizzazione di un ambiente underground, originale e rumoroso. Reduci dall’uscita di due Ep, “Burning Lights” (2012) e “Coyote”, presentato il 15 Maggio al C.S.O Pedro di Padova, i GramLines il 13 giugno apriranno allo Sherwood Festival agli Zen Circus. Un pomeriggio tra una lezione universitaria e l’altra, siamo riusciti a incontrare quattro dei cinque componenti della band, il cantante e chitarrista Francesco Campaioli, il bassista Alberto Pavinato, il chitarrista Stefano Bejor e il tastierista Francesco Aneloni (assente il batterista Damiano Dalle Pezze) e a fare loro un’intervista.
Come e quando nasce il progetto GramLines?
Prende la parola Francesco, cantante e chitarrista: “Il progetto nella sua configurazione attuale nasce due anni fa, nel 2012, quando abbiamo deciso di registrare il primo EP. Formalmente però suoniamo insieme dai tempi del liceo, abbiamo iniziato con le cover ma fin da subito ci siamo indirizzati anche verso la composizione di brani nostri. Sebbene il nucleo originale non sia variato più di tanto, musicalmente ci siamo notevolmente evoluti da quei tempi.”
Ascoltando il vostro primo Ep, “Burning Lights”, abbiamo potuto riconoscere le sonorità tipiche del classic rock, ad esempio nel brano “Programs” la chitarra ci ricorda molto Mark Knopfler. Quali sono le vostre influenze sia a livello personale che di gruppo? E per quanto riguarda il nuovo Ep “Coyote”? Cosa potete dirci?
Continua Francesco: “Le influenze originarie di cui abbiamo risentito erano di gruppi storici come Led Zeppelin e Deep Purple, ma per trovare un’identità musicale che fosse nostra e non plagiante, abbiamo per gran parte accantonato i primi lavori. Ci avete azzeccato per quanto riguarda “Programs”, l’influenza dei Dire Straits è stata notevole.” Aggiunge il tastierista, Francesco: “Poi ci siamo spinti verso altre sonorità, passando per esempio per la scena indie rock, guardando a band come gli Arctic Monkeys. Con il nuovo Ep abbiamo cercato, dando comunque spazio ai nostri gusti personali, di amalgamare meglio il prodotto, uniformandolo e lavorando di più sul suono. Sia a livello di composizione che di testi “Coyote” è sicuramente più organico, fatta forse eccezione per il quarto pezzo che è una bonus track, scritto in precedenza ai primi tre. Il gruppo che più ci ha influenzato per quest’ultimo lavoro sicuramente sono stati i Queens Of The Stone Age”.
E a livello Italiano?
Le influenze della band risultano prettamente anglofone ma comunque il tastierista Francesco cita Fast Animals And Slow Kids, Baustelle, Ministri ma per quanto riguarda le performance live più che su disco e vari progetti de La Tempesta Dischi, il bassista Alberto nomina i Fuzz Orchestra, il chitarrista Stefano i Subsonica e gli Afterhours e il cantante i Calibro35.
Recentemente abbiamo visto un’intervista ai Marta sui Tubi nella quale i membri del gruppo spiegavano il perché dell’utilizzo della lingua italiana nei loro testi. Avete optato per l’inglese spinti da motivazioni particolari? Sperate in opportunità estere?
All’unanimità affermano che la questione è molto dibattuta all’interno del gruppo, ma Francesco, il cantante, spiega: “All’inizio, ai tempi del liceo, non ci siamo posti il problema perché volevamo solo suonare e nello scrivere le canzoni mi trovavo meglio con l’inglese perché il mio background musicale era completamente anglofono. Poi ci siamo resi conto che vivendo in Italia forse avrebbe avuto più senso scrivere in Italiano, ma per il genere l’inglese si presta di più e poi io non mi sento molto a mio agio a cantare nella nostra lingua, anche se onestamente non abbiamo mai provato seriamente a farlo. Questo riduce le possibilità in Italia e le aumenta all’estero, anche se ora è difficile pensare ad esperienze fuori dalla penisola, in quanto il seguito che abbiamo proviene prevalentemente dalla nostra città. Speriamo che anche tramite l’etichetta discografica per cui abbiamo firmato, la Go Down Records, potremo avere in futuro opportunità di questo tipo.”
A proposito della Go Down Records, potete spiegare come ci siete entrati in contatto e cosa significa “essere sotto etichetta”?
Francesco, il tastierista, spiega: “Ci siamo entrati in contatto grazie a un nostro amico, membro dei Mondo Naif, altra band che fa parte del circuito Sotterranei. Il problema è che le etichette ricevono centinaia di richieste al giorno e non riescono ad ascoltarle tutte. Io ho insistito fino a quando non hanno ascoltato il disco, che gli è piaciuto e hanno deciso di distribuirlo. E’ un’etichetta che lavora più per passione che per soldi. Noi siamo completamente indipendenti, non c’è alcun tipo di imposizione e vincolo a livello musicale e l’etichetta non prende nemmeno percentuali sui dischi venduti. Essere sotto etichetta ti assicura un grande numero di contatti, per suonare, trovare date, farsi ascoltare, vuol dire avere qualcuno che crede nel tuo progetto e ti fa da garante nel momento in cui vuoi farti ascoltare da altri.”
Per quanto riguarda i Sotterranei, come è nata l’idea di creare un circuito di musicisti? Come pensate si stia evolvendo la scena musicale padovana fra Sotterranei, Mame, Pedro, Sherwood, Radar e vari festival universitari?
Il cantante racconta: “L’idea dei Sotterranei è stata fortemente sostenuta da Francesco Del Re, frontman degli Elephant, che ha contattato personalmente diversi gruppi tra cui noi, Mondo Naif ed altri. Abbiamo creato tutto questo da zero e non ci aspettavamo che funzionasse e ottenesse un successo così grande e immediato.” Continua il tastierista: “Il progetto poi si è ingrandito. Padova ha un bacino di utenza studentesca notevole che non è assolutamente sfruttato perché comunque gli eventi di musica dal vivo in città sono pochi o richiedono un certo costo del biglietto. Quasi da subito abbiamo iniziato a ricevere chiamate e richieste di collaborazioni da tante realtà musicali padovane e non, per esempio il Mame e il Movement. Il bar in cui organizzavamo le serate è stato chiuso quindi ci siamo spostati al C.S.O. Pedro che ci ha messo in contatto con lo Sherwood Festival.E’ un progetto in continua espansione ma comunque non vogliamo legarci ad un locale preesistente, vogliamo mantenere un certo grado di indipendenza e purezza, rimanendo fedeli alla nostra linea di partenza.”
Qual è stato uno dei momenti più significativi nella vostra carriera musicale? C’è un locale o festival in cui vi piacerebbe particolarmente esibirvi?
Stefano, il chitarrista, è il primo a rispondere: “Avvenimento non recentissimo ma che ha dato a tutti la consapevolezza di essere partiti è stato vincere il contest AltichieRock Festival, al quale partecipavano numerose band molto valide. Il concerto della finale poi è stato particolarmente emozionante e partecipato.”. Continua il tastierista, Francesco: “Per me uno dei momenti più belli dei GramLines è stato l’ultimo concerto al Pedro, la serata per la chiusura dei Sotterranei. Non mi aspettavo che tutta quella gente venisse per noi, ma soprattutto di vedere persone sconosciute cantare gasatissime i nostri brani.” Francesco (il cantante) interviene: “Questo si ricollega al fatto dei testi in inglese o in italiano. E’ difficile in Italia che un pubblico conosca i tuoi pezzi in Inglese e avere invece di fronte un pubblico che non conosci che canta a squarciagola con te è la soddisfazione più grande di tutte.” Il bassista Alberto: “La serata di apertura dei Sotterranei, nella quale abbiamo suonato, è stata una grande sensazione. Il posto era molto suggestivo, strapieno di gente, tanto sudore, tanto rumore, molto underground.” Per quanto riguarda invece il festival ideale Il tastierista cita il primavera Sound a Barcellona, il cantante: “Qualsiasi festival estivo tipo Super Bock Super Rock , SouthSide Festival o Sziget, con un bel pubblico e una bella atmosfera, sarebbe un sogno”.
Francesco, puoi parlarci dei tuoi testi e citare delle frasi significative da spiegare ai lettori?
“Le prime tre canzoni sono le più importanti dal punto di vista dei testi. L’ispirazione mi è venuta dalla lettura di alcuni libri di Cormac McCarthy come “La strada” e “Non è un paese per vecchi”. Parlano di un sentimento che mi porto dietro molto spesso, ovvero l’indugiare fin troppo a lungo su una scelta importante che è come una soglia entro la quale non ti sporgi. A sinistra e a destra c’è un baratro, rappresentato nel testo di “The Bone”, nella frase “I’m standing there on the edge, floating like a wasp”, cioè galleggiando come una vespa. Questo indugiare precipita in una situazione in cui non riesci più a orientarti e a trovare una via da seguire ed è con “The Thrill of a Breakdown” che rappresento quella sensazione di brivido quando tutto crolla. “The Road” racconta di quando nel deserto, senza punti di riferimento, ti crei tu, nella tua mente, una strada, anche se non è visibile e chiara, ma è la soluzione al problema.”
Ringraziamo i GramLines per la disponibilità e gli facciamo un grande in bocca al lupo, siete tutti invitati ad andare il 13 giugno allo Sherwood, ne varrà la pena!
Vi lasciamo il link della loro pagina facebook, del nuovo Ep “Coyote” e della pagina dei Sotterranei per saperne di più e tenersi sempre aggiornati. Buon ascolto !
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Sara Berardelli e Davide Grigatti