
Tutto esaurito al Teatro Filarmonico di Piove di Sacco per poter assistere all’ultimo spettacolo di Marco Paolini, “Numero Primo“. L’ambiente è intimo, caldo e sognante, il pubblico è pronto a lasciarsi trasportare. Sono state posizionate delle sedie aggiuntive sul palco, vicino all’artista, su sua specifica richiesta. Paolini entra in scena, lo spettacolo comincia. Lo scorso aprile Marco Paolini è diventato padre, la matrice dell’opera è quindi autobiografica, “Numero Primo, studio di un nuovo album” è un lavoro in corso, è un embrione, è un diamante grezzo che sta per essere raffinato, e che viene raffinato di serata in serata.
E’ la storia di un padre e di un figlio, che si incontrano e si vivono, vengono da due mondi completamenti diversi, e soprattutto, hanno occhi che guardano in modo diverso. Ettore Achille è padre, “per atto notarile e non sessuale” (figlio donatogli da una donna in rete) e cerca il coraggio e la forza di essere padre. Numero Primo è un bambino, per lui tutto è nuovo, tutto è bellissimo, tutto è mirabolante. Le loro avventure li portano ad esplorare il mondo esterno, con concezioni diverse ma con il cuore in sincrono.
Non ci si può distrarre un attimo, la narrazione è in continua costruzione, come un sogno indefinito che continua a prendere forma indipendentemente dalla nostra volontà. Se si perde di vista il palco, anche solo per un secondo, c’è il rischio di non riuscire a comprendere più nulla. Il palco è scarno, non vi è altro che un leggio, un’altalena e l’attore stesso, eppure Paolini con i suoi racconti riesce a far entrare la platea in un mondo a parte, riesce ad estraniare tutti dalla realtà e a farli entrare nel sogno di Numero Primo.
Il palco non si muove, ma è la mente che vaga, si sposta tra i vari luoghi che l’artista ci fa esplorare: Venezia, Marghera, Mestre, Balocchi (un immenso centro commerciale costituito di giocattoli impensabili ed improponibili), Via Piave (dove si incrociano tutte le etnie possibili immaginabili), Trieste, la scuola Steve Jobs (già Carducci) ed infine la fabbrica di neve. Tutto questo mentre la pioggia di Blade Runner cade incessantemente. Lo spettacolo è pungente, ironico e vivace e allo stesso tempo tremendamente malinconico, Paolini utilizza un linguaggio forbito ma informale, per mettere a suo agio se stesso ed il pubblico, il quale si trova spesso con il sorriso sulle labbra, ma anche nella scomoda posizione di dover pensare.
E’ questo infine “Numero Primo“, un’opera che fa pensare moltissimo, che offre numerosi spunti allo spettatore, che si trova a dover fare i conti con fin troppi contenuti. Lo spettatore infine applaude, ma si sente un po’ confuso, un po’ preso in giro, un po’ intontito, ma anche un po’ più ricco. E’ questa la magia di Paolini, il regalare a tutti un’esperienza onirica, trattando di materiali realtà.