
«Erano giovani, freschi di studi, e tutti e due ancora vergini in quella loro prima notte di nozze, nonché figli di un tempo in cui affrontare a voce problemi sessuali risultava semplicemente impossibile».
“Chesil Beach” (titolo originale: “On Chesil Beach”), pubblicato in Italia da Einaudi nel 2007 e considerato troppo breve per poter essere inteso come un romanzo (l’edizione qui recensita consiste in sole 134 pagine), è un libro strano, scomodo.
Scomodamente intimo, scomodamente cristallino riguardo questioni solitamente indiscusse, e, per questa stessa ragione, scomodamente sincero.
L’inizio è lento e quasi esasperante: siamo nel 1962, nel decennio del lancio delle minigonne, lo stesso decennio che precede la libidine spensierata degli anni ’70 e che segue la severa ed inflessibile rettitudine del postguerra. I continui salti temporali alle infanzie dei protagonisti ed a episodi passati – più o meno rilevanti – rallentano un po’ il ritmo narrativo della storia. Del resto, è proprio l’impostazione retrospettiva il cavallo di battaglia dell’autore, Ian McEwan.
Lui, Edward Mayhew, è laureato in storia a pieni voti presso una prestigiosa università londinese. Lei, Florence Ponting, suona come violinista in quartetto dalle grandi aspirazioni, «creatura tanto insolita e appassionata, consapevole e onesta fino all’autolesionismo».
Chesil Beach è la spiaggia dietro la quale la loro luna di miele dovrebbe avere luogo, ma è anche il rifugio in cui Florence trova riparo dai nuovi obblighi matrimoniali. La neosposa infatti prova vergogna – per non dire ribrezzo – al pensiero di dover soddisfare le aspettative del marito sotto le coperte.
Frigida? Conservatrice? Lesbica? La sua risposta è molto più candida: «Semplicemente non fa per me». Siamo quindi ben lungi dalla tradizionale preoccupazione riguardo la preservazione della propria virtù – d’altronde, è con il suo compagno di vita che dovrebbe andare a letto. D’altro canto, Edward sembra aver vissuto in funzione dell’attesa di quel preciso atto: «L’unica cosa che voleva, la sola idea nella sua mente, era quella di lui e Florence nudi sul letto o fra le lenzuola nella stanza accanto, finalmente sul ciglio di quell’esperienza solenne che appariva lontana dalla vita di tutti i giorni quanto può esserlo una visione di estasi religiosa, per non dire la morte stessa».
Grazie ad abilissimi flashbacks, la narrazione ci rende partecipi del loro primo incontro, delle prime impressioni e delle prime avventure insieme: «era un’esperienza ancora nuova e vertiginosa per entrambi, fissare per un minuto lo sguardo negli occhi di un altro adulto».
Il libro offre l’opportunità di aprire dibattiti interessanti: è possibile mantenere un matrimonio fondato su affetto e rispetto, ma non consumato? È veramente giusto considerare il sesso come il punto cardine delle nostre relazioni amorose?
Non facile, addentrarsi nei meandri di verità tanto scottanti a piedi nudi ed in mutande. Eppure l’autore riesce a destreggiarsi con facilità grazie alle sagaci battute ricche di un riuscitissimo umorismo inglese.
Consigliato a chi: si è stancato del “vissero per sempre felici e concreti” e vuole leggere di fatti e problemi concreti anziché una narrativa di irreali storie idilliache. In particolare, vorrei raccomandare l’edizione uscita nel mese di gennaio 2015 e tradotta da Susanna Basso, che a mio parere conserva in modo eccellente lo stile elegantissimo di McEwan.