LETTERATURA – Storia di un’ossessione: “Il postino suona sempre due volte”

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occhiUn incontro, uno sguardo, un amore proibito, ecco come prende avvio uno dei più grandi capolavori della letteratura americana dei primi anni del Novecento firmato James Cain: “Il postino suona sempre due volte” (1934). In poco più di cento pagine l’autore riesce a narrare una storia che non può lasciare i lettori indifferenti.

Un giovane ragazzo che ama l’avventura, una donna molto bella costretta a lavorare nella taverna del marito, alchimia: è subito passione. La trama sembra avere tutte le carte in regola per divenire una bellissima storia d’amore ma non sarà così, o meglio, si trasformerà in un sentimento nuovo che nemmeno i protagonisti riescono a definire.

L’ambientazione è scarna, siamo a pochi chilometri da San Francisco, Frank è un giovanotto che errando di paese in paese cerca lavori saltuari per poi continuare il suo viaggio da vagabondo, non sa però che l’arrivo nella “Taverna delle Due Quercie” cambierà il suo destino per sempre. Fin da subito i suoi occhi rimangono colpiti dalla moglie del padrone della bottega, la giovane e bella Cora. La loro passione sarà la loro rovina.

L’amore in questo libro raggiunge il paradosso, diventa un sentimento malato, capace addirittura di uccidere. Il destino sembra essere come l’amore, anch’esso una forza invincibile dal momento che non riesce a placarsi anzi si scaglia sempre contro i giovani ragazzi. Da complici si ritroveranno avversari, uno contro l’altro, pronti a ferirsi a vicenda ma sempre in nome di ciò che li lega.

La narrativa è sviluppata in maniera molto fredda, la lettura è fluida e piacevole ma ciò che mi ha colpita maggiormente è la grandissima capacità d’impatto che questo breve libro riesce a trasmettere.
Sono dell’idea che un libro per essere un grande libro debba lasciarci qualcosa e quando dico qualcosa intendo un sentimento qualsiasi dunque non per forza positivo.

Si termina questo romanzo con una specie di peso sullo stomaco, con degli interrogativi senza risposta e soprattutto con grande rassegnazione. Lo ritengo un grande libro proprio per questo: per il fortissimo senso di rassegnazione che mi ha lasciato di fronte un amore che non doveva mai nascere e che non è realmente mai nato. Le favole devono fare i conti con la realtà, e la realtà non è “vissero per sempre felici e contenti” anzi per la precisione non lo è quasi mai.

Il finale lascia tutti spiazzati soprattutto grazie alle ultime parole che Frank indirizza ad un lettore immaginario. L’autore invita tutti a pregare per questo folle amore, questo amore morboso, affinché possa compiersi veramente al di fuori della terra e della limitatezza ma bensì in quel mondo dove la parola “eterno” trova realizzazione.

“Se siete arrivati fin qui, mandatene su una preghiera per me, e Cora, una preghiera perchè stiamo insieme, io e lei, dove che sia.”

Andrea Pitton