“Mi aspettavo questo tipo di accoglienza… tutti gli uomini odiano i disgraziati;
e allora quanto devo essere odiato io,
che sono la più detestabile di tutte le cose viventi!
Eppure tu, il mio creatore, detesti e respingi me, la tua creatura…
ti proponi di uccidermi.
COME OSI GIOCARE COSì CON LA VITA?!?”
il Mostro.
Frankenstein,
parte seconda,
capitolo 2.
Era l’estate del 1816 quando un gruppo di poeti guidati da Lord Byron, si ritrovò isolato, a causa del mal tempo, sulle rive del lago di Ginevra.
Spinti dalla suggestione di quel sublime paesaggio i membri del gruppo decisero, per ingannare il tempo, di competere tra loro nella creazione di un racconto che fosse il più spaventoso possibile.
Nacque così “Frankenstein ossia il moderno Prometeo” dalla mano e dalla mente brillante della diciannovenne Mary Woolstonecraft Godwin, in Shelly.
Questo racconto con la sua forza e con la sua originalità riuscì in breve a imporsi nella cultura, nel folklore e nell’immaginario comune, fino a diventare uno degli emblemi del romanzo gotico.
TRAMA: La storia racconta della vita di Victor Frankenstein, scienziato, filosofo e uomo amatissimo, sia dagli amici sia dalla famiglia; egli, nel corso dei suoi studi universitari, scoprì il modo di rianimare la materia morta. Questa scoperta lo esaltò a tal punto che, in preda a un raptus creativo, decise di dare vita a una creatura di sembianze umane, ma di dimensioni gigantesche, dotandola quindi di una maggiore forza, agilità e intelligenza.
Disgustato dall’orrore della sua stessa creazione Frankenstein cadde in preda a una violenta febbre che lo costrinse a letto per diversi mesi, privandolo delle facoltà di agire e ragionare. Soltanto quando ebbe recuperato le forze si rese conto che “il Demonio” da lui creato era scappato dal suo laboratorio e ora vagava libero per il mondo.
Inizia così una corsa contro il tempo in cui il povero scienziato dovrà cercare di catturare l’orrida creatura, prima che la sete di sangue e vendetta di quest’ultima raggiunga la sua famiglia e i suoi affetti.
COMMENTO:
“Ti ho chiesto io, Artefice,
Di modellarmi uomo dalla mia creta?
Ti ho sollecitato io
A liberarmi dall’oscurità?”
Questi brevi versi de “Il Paradiso Perduto” scelti dalla stessa autrice, sono quelli che senza dubbio descrivono meglio il libro. Scritto in epoca romantica il testo è impregnato delle idee del movimento che si stava diffondendo in quegli anni nel vecchio continente.
Concetti come il Luciferismo (l’ambizione che spinge gli uomini a violare i confini posti da Dio stesso) o il Sublime (l’estasi provata dall’uomo dinnanzi alla grandiosità e alla potenza della natura) permeano tutto il libro, rendendolo un caposaldo della letteratura ottocentesca.
Ispiratasi alle contemporanee teorie del galvanismo, che sostenevano di poter infondere la vita nella materia morta, la giovane Mary Shelly è riuscita a creare un romanzo che ha stupito, meravigliato e terrorizzato intere generazioni.
Ma il vero colpo di genio dell’autrice è stato quello di raccontare la storia da due diverse prospettive:
- La prima è quella di Victor Frankenstein, chiamato dall’autrice “Moderno Prometeo”, definizione emblematica, in quanto il mito del titano, che cadde in disgrazia per portare il dono del fuoco agli uomini, ben si confà alla situazione dello scienziato, che si vede gradualmente sottrarre i suoi affetti dal mostro che egli stesso ha creato.
- La seconda è quella della Creatura, che tramite flashback, racconta la sua vita al suo creatore; ed è proprio la storia del mostro la parte più intrigante e avvincente dell’intero romanzo.
Veniamo a sapere che se pur di aspetto orripilante la Creatura era di indole mite, ma la malvagità degli uomini, che continuavano ad attaccarla quando la vedevano, la trasformò in un mostro sanguinario.
La metafora dell’autrice è evidente: la Creatura simboleggia l’essere umano, che di per sé non è né buono né cattivo; la Creatura infatti, come gli uomini, si interroga sulla sua origine: si chiede il motivo del perché è al mondo, e non trovando risposta, poiché abbandonata dal creatore, cerca di colmare il senso di vuoto e solitudine della sua esistenza con la compagnia e gli affetti delle altre persone.
Ma la continua sofferenza provata nel sentire di non essere accettata, nel venire continuamente respinta, strazia e mutila il suo cuore, fino a cambiare radicalmente la sua natura, rendendola un Mostro.
La morale dell’autrice è quindi duplice: la storia di Frankenstain insegna che ci sono limiti che non possono essere valicati con troppa leggerezza, perché le nostre azioni hanno delle conseguenze; la storia del Mostro insegna invece a non giudicare mai dalle apparenze, e imparare ad accettare il prossimo, liberandoci dalle catene forgiate dagli stereotipi e dai pregiudizi della società.
Andrea Pettenuzzo