
Saturno si staglia, immobile e immenso, sul nero assoluto dello spazio cosmico. Una navicella, poco più di un punto bianco, si muove impercettibilmente di fronte ad esso, lambendo con la propria traiettoria uno degli anelli, senza però curarsi minimamente del titanico pianeta. A bordo l’attenzione è catalizzata da uno strano oggetto sferico, sulla cui caleidoscopica superficie si disegna, distorta ma inequivocabile, l’immagine di stelle ignote: una porta per un’altra galassia, un wormhole.
La navicella che si appresta a compiere questo incredibile viaggio attraverso lo spazio tempo è l’Endurance, a bordo della quale viaggiano i protagonisti di Interstellar, il nuovo, attesissimo film di Christopher Nolan. Per guidarci nei più profondi meandri dello spaziotempo, il filmaker inglese si è avvalso della consulenza di uno dei più grandi esperti in materia: il fisico teorico Kip Thorne. Uno dei punti di forza di Interstellar è infatti l’estrema accuratezza scientifica: tutto ciò che accade sullo schermo è, almeno in linea teorica, fisicamente possibile.

(ATTENZIONE: SPOILER! QUANTO SEGUE CONTIENE RIFERIMENTO AI FATTI NARRATI NEL FILM)
A spingere i protagonisti in questo viaggio verso l’ignoto è la ricerca di una nuova casa per l’umanità, ma i pianeti potenzialmente abitabili più vicini si trovano ad anni luce di distanza dal nostro sistema solare. Ecco che allora l’unica ipotesi plausibile per giustificare i viaggi interstellari diventano i famigerati wormholes, tunnel spaziotemporali che conducono da un luogo all’altro dell’universo passando per una ulteriore dimensione, detta iperspazio.
Questi strani oggetti, che sembrano scaturiti dalla fantasia di uno scrittore di fantascienza degli anni ’80, sono in realtà oggetto di alcune delle ricerche di fisica teorica più avanzate. Per quanto sia poco probabile che essi esistano nell’universo reale, la relatività generale di Einstein, la miglior teoria riguardo la struttura spaziotempo di cui disponiamo attualmente, non li esclude categoricamente.
La relatività concepisce lo spaziotempo come una struttura quadrimensionale, in cui quelli che noi sperimentiamo distintamente come spazio e tempo sono fusi in un’unica entità, immersa in uno spazio di dimensione superiore. La gravità è descritta invece come la curvatura di questa ipersuperficie, con le masse che agiscono in maniera analoga a un peso che, appoggiato su un telo di gomma, lo deforma. In alcuni punti, detti singolarità, la curvatura potrebbe essere così intensa da lacerare il tessuto spaziotemporale: i lembi di due fori potrebbero allora fondersi e dare origine a un condotto in grado di collegare regioni distantissime tra loro nell’universo.
Non è importante se questa curvatura sia reale o solo il modo matematico più elegante per descrivere l’azione della gravità sul nostro universo, il dato fisico è inequivocabile: l’azione della forza gravitazionale in corrispondenza di una singolarità sarà così potente da annullare qualsiasi distanza nello spazio e nel tempo.
Per mantenere aperta una simile frattura nello spaziotempo tuttavia sarebbe necessaria un’energia immane, che però potrebbe essere fornita dalla cosiddetta materia esotica (composta da fluttuazioni spontanee del campo elettromagnetico nel vuoto) o dalla misteriosa energia negativa.

Una volta sbucati all’altro capo del wormhole, Cooper e i suo campagni si trovano in un sistema dominato dal gigantesco buco nero rotante Gargantua. I buchi neri, a differenza dei cunicoli spaziotemporali, non sono strutture ipotetiche relegate alle congetture più ardite di qualche fisico teorico, ma oggetti reali, la cui esistenza è stata provata al di là di ogni ragionevole dubbio. Tuttavia queste due entità sono strettamente collegate. I buchi neri nascono in seguito al collasso di una stella supermassiva (pesante da poche volte la massa del nostro Sole fino a milioni di masse solari, come nel caso di Gargantua): in questo processo la forza gravitazionale prende il sopravvento e la massa dell’astro implode progressivamente, fino a concentrarsi in un unico punto e formando una singolarità. A differenza delle singolarità che potrebbero dare origine a un wormhole, quella al centro del buco nero si ammanta dietro una coltre di tenebra, rimanendo celata all’universo esterno: quando la massa si concentra all’interno di quella che viene detta circonferenza critica, la gravità diviene talmente forte che nemmeno le particelle di luce, i fotoni, riescono a sfuggire alla sua attrazione, rendendo impossibile per ogni osservatore esterno vedere quanto accade oltre questo orizzonte.
Uno degli aspetti più affascinanti di Interstellar è proprio la raffigurazione di Gargantua. Il team della Double Negative Visual Effects, capitanato dal premio Oscar Paul Franklin, non si è limitato a rappresentare in maniera evocativa il buco nero: sulla base di equazioni derivate dal professor Thorne appositamente per il film, hanno simulato utilizzando dei supercomputer l’aspetto reale di un buco nero rotante qualora venisse ripreso da una telecamera, ottenendo terabyte di dati per ogni singolo fotogramma. E la realtà ha superato ancora una volta la fantasia, donandoci uno scenario di incredibile suggestione e impatto visivo. L’enorme sfera oscura dell’orizzonte degli eventi è circonfusa da un aurea di luce, costituita dai raggi delle stelle che si trovano alle spalle del buco nero, deviati dalla deformazione dello spazio operata dall’enorme gravità e dalla rotazione del buco, un fenomeno noto come lente gravitazionale.

Il trovarsi di fronte a questo gigante cosmico costringe l’equipaggio dell’Endurance a confrontarsi con uno degli effetti più sconvolgenti dell’azione della gravità: la dilatazione temporale. Infatti la distorsione dello spaziotempo causa un progressivo rallentare del tempo, tanto maggiore quanto più pronunciata è la curvatura. In prossimità di un oggetto gravitante di massa enorme, come può essere un buco nero, poche ore posso essere equivalenti ad anni in regioni dello spazio aperto.
Ma l’effetto più tangibile per un astronauta che si avventurasse nei pressi di un oggetto estremamente massivo sarebbe la marea gravitazionale. La forza di gravità agisce su ogni punto dello spazio in maniera leggermente diversa e, quando essa raggiunge le intensità tipiche di un buco nero, queste differenze risultano notevoli anche tra i punti del corpo umano stesso, che verrà pertanto stirato in alcune direzioni e compresso in altre. In un buco nero normale tali forze in prossimità dell’orizzonte divengono abbastanza forti da straziare il corpo di qualunque essere o oggetto così coraggioso o folle da tentare di penetrare all’interno.
È dunque impossibile varcare quel magico confine oltre il quale ci verrebbe svelata la perla nascosta nell’ostrica del buco nero, la sua singolarità? No, o almeno non sempre. Nel caso di buchi neri giganti rotanti, le cosiddette singolarità gentili, come Gargantua, è stato dimostrato matematicamente che la marea gravitazionale sarebbe abbastanza debole da permettere, pur al prezzo di atroci sofferenze, ad un essere umano di varcare l’orizzonte e inoltrarsi fino alla singolarità (poi ovviamente, una volta entrati, sarebbe impossibile uscire, ma queste sono scelte personali).
Cosa accada una volta raggiunta la singolarità non è predicibile scientificamente al momento: per farlo servirebbero le leggi che coniugano la relatività generale con la meccanica quantistica, ad oggi il sacro Graal della fisica relativistica teorica. Si entra pertanto nel campo della pura speculazione e della fantascienza.
Per Interstellar essa rappresenta la via d’accesso per una realtà pentadimensionale, in cui è possibile manipolare spazio e tempo utilizzando proprio la gravità. Il protagonista, Cooper, si ritrova allora in uno spazio tridimensionale costruito all’interno di questa realtà, in cui tuttavia una delle tre dimensioni viene utilizzata non come spaziale, ma per visualizzare il tempo come dispiegato di fronte a sé, seppur limitatamente a un preciso luogo, la cameretta di sua figlia Murph. Tale luogo gli diviene così accessibile in ogni istante, ma per orientarsi e trovare in quel labirinto i momenti giusti sarà l’amore a guidarlo, unica forza in grado di trascendere spazio e tempo.
A spalancare le porte dell’iperspazio a Cooper nel film è una civiltà incredibilmente evoluta. Questa si scoprirà essere l’umanità stessa, che, giunta alla piena realizzazione del proprio potenziale, ha imparato a controllare ogni forza dell’universo intercede per lui da un lontano futuro. Anche questo fatto si ispira a un tipo di esperimenti mentali molto comune ormai nell’ambito della fisica teorica: per indagare i confini più remoti e labili della scienza attuale, è prassi cercare di capire cosa potrebbe creare una civiltà infinitamente evoluta, i cui unici limiti sono quelli imposti dalla fisica. Anche il concetto di cunicoli spaziotemporali è stato portato alla luce da una riflessione di questo tipo, stimolata dai quesiti che l’astrofisico Carl Sagan poneva nel suo romanzo “Contact”. Ed è così che il cerchio tra fantascienza e scienza si chiude.

Interstellar racchiude in sé una profonda apologia della scienza, con un capovolgimento rispetto alla sua concezione classica nel grande schermo: non è più un’algida antagonista degli istinti più profondi dell’uomo, ma diviene il mezzo per elevare i nostri pensieri e i nostri sentimenti a vette sempre più alte. L’aspirazione alla conoscenza, a cercare ciò che si trova oltre il nostro orizzonte, è ciò che, assieme alla capacità di amare, ci rende veramente umani. Perché è in esse che è racchiusa la vitalità della nostra specie, la fiamma che permetterà di superare i nostri limiti, e dobbiamo combattere affinché non si spenga.
Non andartene docile in quella buona notte…
Infuria, infuria contro il morire della luce
(Dylan Thomas)
NOTA: le nozioni scientifiche contenute in questo articolo sono mutuate essenzialmente dal libro “Buchi neri e salti temporali. L’eredità di Einstein” di Kip Thorne (Ed. Castelvecchi), che ho letto, adorato, ma di certo non capito. Pertanto ogni errore o blasfemia scientifica è da imputare solamente alla mia ignoranza, mentre ogni nozione corretta è da attribuire a mr. Thorne.
Francesco Moro
[…] [Fonte: Francesco Moro Estensione.org] […]
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