
27 gennaio, Giornata della Memoria. Perché dobbiamo ricordare? Perché ogni anno dobbiamo fermarci e guardare indietro a ciò che è successo? Noi uomini siamo bravi a dimenticare, siamo bravi a superare qualsiasi tragedia lasciandocene il ricordo alle spalle, ma il non ricordare ci condanna a compiere nuovamente lo stesso percorso, a cadere sempre negli stessi errori. Senza la memoria siamo condannati a girare in tondo, intrappolati in un cerchio infinito dal quale mai riusciremo ad uscire.
Il ricordo in sé può sbiadire, può essere rovinato, può essere storpiato. Per questo “usiamo” l’arte come aiuto, per far rimaner vivo il ricordo di tutto ciò che è stato. Oggi voglio utilizzare anche io l’arte per aiutarci a ricordare l’orrore dell’olocausto, l’orrore dello sterminio. Lo voglio fare attraverso un film: “Il Pianista“.
Diretto nel 2002 da Roman Polanski, è la storia del pianista ebreo Władysław Szpilman (interpretato da Adrien Brody), o meglio, è la storia dell’olocausto, della morte, della distruzione, vista attraverso gli occhi di un artista. Il film ha vinto la Palma d’oro al festival di Cannes e ha conseguito tre premi oscar (regia, miglior attore protagonista e sceneggiatura).
La pellicola si apre a Varsavia, ove il pianista è intento a suonare per la radio polacca il Notturno in Do diesis minore di Chopin. Le esplosioni cominciano, ma Szpilman continua a suonare fino a che non viene costretto a fermarsi da una bomba che entra nello studio. Da lì comincia il terrore per la gente di Varsavia, l’inizio di una delle più grandi tragedie della storia dell’uomo.
Trasferitosi nel ghetto di Varsavia è costretto ad abbandonare la propria famiglia a morte certa dopo che essi vengono deportati verso i campi di concentramento. Szpilman dovrà fronteggiare la disperazione e la tragedia della guerra in completa solitudine. Condannato a non poter perpetuare il suo unico amore, la musica, non può far altro che continuare a suonarla nella sua mente, per ricordare ciò che era, ciò che è, ciò che vuole essere.
Circondato da morte e terrore, da cadaveri e malattie, da sangue e terra, Szpilman riesce a sopravvivere in una Varsavia completamente rasa al suolo, nel più totale buio d’amore. Solo l’incontro con il Capitano tedesco Wilm Hosenfeld lo porta a toccare nuovamente un piano. Il corpo distrutto, la mente piegata, le mani squarciate. Eppure, ecco che dal profondo del proprio cuore una melodia sale, è la Op 23 ballata per pianoforte n. 1 in Sol minore di Fryderyk Chopin.
L’arte riesce a vivere così attraverso uno spirito devastato, e una Varsavia empia e infestata di fantasmi riesce per qualche istante a tornare a sorridere. La musica riesce ad estirpare le differenze, a parificare l’ebreo ed il tedesco, e per un momento le note del pianoforte li rendono un tutt’uno. Il capitano, colpito dalla bellezza di questa arte così pura, decide di aiutare il giovane pianista, fino all’arrivo dell’Armata rossa e alla liberazione della capitale polacca.
La pellicola riesce nell’intento di far vedere l’orrore della guerra, la disperazione del popolo ebraico e tutte le umiliazioni subite, donando nonostante ciò un messaggio di speranza, la speranza che l’arte vinca su tutto. L’unico modo in cui Władysław Szpilman è sopravvissuto è grazie alla musica e quindi all’arte, al perpetuo pensiero di bellezza e illuminazione che essa può dare in qualsiasi momento, anche nel più terribile e buio.
Le tristemente celebri parole “Arbeit macht frei” (il lavoro rende liberi), che campeggiavano all’ingresso del campo di concentramento di Auschwitz (e tantissimi altri campi), vengono sostituite figurativamente da “Kunst macht frei”, cioè “l’arte rende liberi”. E’ grazie all’arte a tutte le sue forme che l’uomo può aspirare a essere infinito, a essere realmente libero. E’ grazie all’arte che riusciamo a ricordare, ed è soprattutto grazie all’arte che possiamo dire di essere vivi.