Antonio Zancanaro, chiamato Tono, nasce nel 1906 a Padova. Inizia il suo percorso nel mondo della pittura nel 1931, dopo aver interrotto i suoi studi scolastici dopo essere stato chiamato a compiere il servizio di leva, recandosi a Torino. A partire dal 1933 partecipa ad esposizioni collettive. Nel 1935, Tono invece si reca a Firenze. Durante tutti questi anni elabora e matura la sua vena artistica, già attratto dalla letteratura sul piano sociale e storico. Tono scopre anche l’interesse per l’ambiente universitario, iniziando a frequentare il gruppo di giovani triestini legati a Curiel. Nel 1942 si iscrive al Partito Comunista Italiano e tra il 1942 e il 1943 passa settimane in ospedale. Restando legato comunque a Padova, si sposta anche in altre regioni soffermandosi maggiormente a Roma, dove stringe amicizia con Carlo Levi, Renato Guttuso e Mino Maccari. Negli anni ’50, Tono si concentra sulla zona del Polesine, volendo quindi imprimere nelle sue opere il dolore e il disagio che la popolazione della zona si era ritrovata a vivere dopo la rotta del Po’. Si sposta successivamente anche a Comacchio, a Mantova, a Cesenatico e a Ferrara, per poi giungere sino in Sicilia e in Magna Grecia. Qui Tono soggiorna per lunghi periodi e in Sicilia riesce a stringere nuove amicizie, con Leonardo Sciascia, Antonio Uccello, Vincenzo Tusa ed altri intellettuali dell’isola, tra i quali troviamo anche l’editore Sellerio. Dopo aver insegnato presso l’Accademia delle Belle Arti di Ravenna dal 1970 al 1977, Tono viene riconosciuto anche in campo letterario poiché negli anni ’80 intraprende nuovi percorsi che arricchiranno la sua tecnica, spostandosi a Recanati e tornando poi nel Veneto, a Treviso e Thiene. Nel 1985, presso l’ospedale di Padova, si spegne la sua ricca vita a causa di una emiparesi.
Tono Zancanaro, con le sue abilità nel disegno e nell’illustrazione, si dedica alla realizzazione del Gibbo, una collezione di 3500 disegni. Il nome di Gibbo viene ripreso da Gibbon, un personaggio deforme nel corpo e nell’anima, traditore dei suoi compagni di lotta durante la resistenza irlandese, ma Gibbone è anche il nome della scimmia che allo zoo fa tanto ridere i bambini per come mostra il suo sedere spelacchiato, ritenuto un animale ridicolo e impudico. Con questi elementi nasce la figura di questo personaggio. Alla nascita di quest’ultimo contribuisce anche il periodo di degenza trascorso da Tono in ospedale, a causa di una malattia incurabile ai polmoni, alla fine degli anni ’30. Molti elementi della sua stanza, come le macchie di umidità unite alla sua situazione psicologica, diventavano nella sua mente delle figure mostruose, con lunghe braccia protese pronte a ghermire: i protogibbi. La degenza gli faceva avere anche altre visioni, che regolarmente erano fermate come impressioni sui quaderni di appunti. Il Gibbo è mostrato in vari atteggiamenti e in tutti è messa in evidenza la massa dell’Uomo della Provvidenza.
La sua pittura risulta molto scultorea, quasi metafisica, dai tratti marcati, grossolani e scuri. Le figure sono quasi istantanee, le scene sono riprese “en plein air”, realizzati all’aria aperta, e tramite i suoi bozzetti riesce pienamente a rappresentare ciò che desidera. La visione delle intere scene è molto piatta, priva di profondità. Zancanaro rimane pur sempre un maestro della grafica, nella linea pura e nell’incisione.
Marta Goldin
L’ha ribloggato su O C T A G O N.
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